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La consegna del premio alla Carriera del Bif&st a Gianni Minà, consegnato alla moglie

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II Bif&st pre-inaugura la sua tredicesima edizione con il giornalismo e il documentario: parte delle fondamenta e dei paradigmi narrativi del cinema. Il Teatro Kursaal Santalucia affacciato sul mare si illumina alle ore 17.45 con striature rosse, tinte impressioniste: gli spettatori attendono in una platea gremita per il docu- film di Loredana Macchietti “Gianni Mina, una vita da giornalista” al quale è conferito il Premio Bif&st alla carriera con la presenza della regista, progetto che nasce per celebrare i suoi 70 anni di professione.

Felice Laudadio, direttore artistico del Bif&st e Oscar Iarussi, attuale Direttore Responsabile della Gazzetta del Mezzogiorno insieme sul palco: «A netto delle nostre responsabilità, siamo entrambi giornalisti ed oggi festeggiamo l ‘intemperanza e la pericolosità del grande reporter Gianni Minà che non può essere qui con noi ma c’è sua moglie, autrice del docu-film, Loredana Macchietti».

Sul palco la regista racconta l’incontro con Minà: «Ero un’assistente sociale. E un mio amico mi disse che un suo caro amico nell’85 doveva fare un libro sul pugilato. E lì lo incontrai perché io ero una dattilografa. Non era un uomo ma uno tsunami. Ed io ne rimasi affascinata, come lo sono stata per il pugilato».

Se l’anno scorso il documentario su Ennio Morricone e la musica hanno aperto le porte appena restaurate del Teatro Santa Lucia, quest’anno è la volta di Gianni Minà, che con il maestro condivide un tratto distintivo: il ritmo. Inizia la sua carriera dalla cronaca sportiva: dal direttore di Tuttosport, collaboratore della Rai, diventa amico di celebri volti da lui intervistati come Muahmmad Ali.

Nei suoi viaggi di lavoro si appassiona alla cultura musicale della samba, alla bossa nova, da cui ne leggeva i tratti i politici: Toquinho, Chico Buarque, Vinicio De Moraes, musicisti esiliati durante la dittatura brasiliana degli anni 60’, diventano compagni di cene e di discussioni politiche al Morra di Roma in cui non mancava la calda voce del poeta Giuseppe Ungaretti.

La presenza di Minà è mancata ma un’affermazione ha acceso il pubblico con l’ultima dichiarazione di Loredana Macchietti sul palco “ Gianni dice sempre che se c’è una rinascita politica e culturale nasce sempre dal sud non al nord” nonostante il documentario apre la sua vita in via Novembre IV, numero 10, Torino, dove con i suoi amici di vicinato intervistati nel docufilm, ci giocava a calcio Gianni Minà porta con sé uno spaccato di storia irripetibile per il mondo della notizia, e lo testimonia con un giornalismo pregno di intelligenza emotiva, in cui la tecnica è stata arricchita dal racconto, la notizia diventa il pretesto per raccontare quello che accade intorno all’evento: i suoi maestri,

Ghirelli e Barendson, lo colsero. Il docufilm da forma alla summa dei suoi racconti autobiografici tra cui “Storia di un boxeur latino” del 2019 dove Minà riconosce che è arrivato il momento di raccogliere la propria memoria e raccontarla: il documentario di Loredana Macchietti passa allo schermo alcuni miti di ogni ambito che hanno empatizzato con lui come Edoardo Vianello, Gian Piero Ricci, Ruggero Miti, Renzo Arbore, Frei Betto, Nino Di Matteo, Giuseppe De Marzo, Alessandra Ricco e Gennaro Carotenuto ma vi sono anche Maradona, Sergio Leone, Fidel Castro, Gabriel Garcia Marquez, Robert De Niro.

E forse alcuni di questi talenti non potevano che riconoscersi in un’unica storia, in un unico tavolo, spesso a Trastevere a Roma, al ristorante Checco, dove le differenze dei commensali si accorciavano per lo stesso modo di vivere la propria professione: totale, intenso e denso, con infiniti alti e bassi.

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