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Domenico Porcelli e Gerardo Schettino

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POTENZA – Non era mafia l’ombra che si è allungata su Scanzano Jonico da 10 anni a questa parte, quando l’ex carabiniere Gerardo Schettino e i suoi fedelissimi hanno preso il controllo sui traffici di droga in paese.

Lo ha stabilito ieri, la Corte d’appello di Potenza annullando le condanne per associazione a delinquere di stampo mafioso emesse a giugno dell’anno scorso dal Tribunale di Matera nei confronti dello stesso Schettino (59), e di altri 6 presunti appartenenti al cosiddetto clan degli scanzanesi: Domenico Porcelli (49), Nicola Lo Franco (57), Michele Puce (47), Pietro Di Domenico (56), Mario Lopatriello (53), e un altro ex carabiniere, Maurizio Poci (50).

Eccezion fatta per Puce, che risultava imputato soltanto per questa ipotesi di reato, il collegio presieduto da Cataldo Collazzo ha anche rivisto al ribasso le pene inflitte per le restanti contestazioni, epurate anche dell’aggravante del metodo mafioso.
Per Schettino, quindi, la pena è scesa da 25 anni e 6 mesi di reclusione a 15 anni. Per Porcelli da 26 anni e 6 mesi a 12 anni. Per Lo Franco da 19 anni e 6 mesi a 10 anni. E poi ancora da 13 a 7 anni per Poci, da 19 a 10 anni per Di Domenico, e da 16 anni a 7 anni per Lopatriello.

I giudici hanno confermato le condanne a 3 anni e 4 mesi di reclusione inflitte per un’ipotesi di estorsione a Giuseppe Latronico (60), Domenico Ventura Melodia (49), Francesco Nicoletti (55). Più una condanna a 2 anni per il figlio del presunto boss, Giuseppe Schettino (35).

Prescritta, poi, un’ulteriore ipotesi di intestazione fittizia di beni a carico di Giampietro Lo Franco (29). Assolta «per non aver commesso il fatto», infine, l’imprenditrice di Pisticci Maria Montano (47), finita agli arresti domiciliari nel 2018 e poi condannata in primo grado a 6 anni e 8 mesi di reclusione per un’ipotesi di estorsione aggravata dal metodo mafioso. Con l’accusa di essere stata la testa di ponte per l’ingresso del clan nell’affare della ricostruzione post-terremoto in Abruzzo. Il tutto grazie a un subappalto, destinato alla sua ditta, per la fornitura di caldaie all’impresa di un noto costruttore, sempre di Pisticci, finito sotto estorsione del clan.

Alla base della residua condanna nei confronti di Schettino, aggravata dalla recidiva, c’è il tentato omicidio del presunto boss di Tursi, Rocco Russo, più un’ipotesi di spaccio di droga e un’ulteriore imputazione per estorsione.

E sempre le accuse di estorsione hanno fatto lievitare le pene nei confronti di Porcelli, Lo Franco e Di Domenico.
A margine della lettura della sentenza la Corte d’appello ha emesso anche un’ordinanza per l’immediata scarcerazione di Nicola Lo Franco, Domenico Porcelli, Mario Lopatriello e Maurizio Poci, detenuti da 5 anni a regime di carcere duro (41 bis).

Nei loro confronti, però, ha emesso un’ordinanza di divieto di dimora in Regione Basilicata, «e in ogni caso in territorio ricadente a una distanza inferiore a 50 chilometri a quello del Comune di Scanzano. Revocato anche l’obbligo di dimora a Pisticci per Montano. Mentre Schettino e Puce resteranno detenuti per finire di scontare le condanne rimediate in altri processi.

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