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POTENZA – «La famiglia un domani non ti può venire a fare un colloquio (in carcere, ndr)? Quella gente c’è! A fine mese va: “Tieni cinquecento euro, vatti a fare il colloquio con tuo figlio”. “Tieni duecento euro, vatti a fare la spesa”. È tutto un giro! La vita è tutto un giro». C’è anche la lezione di mafia di un nonno al nipote tra le centinaia di audio registrati dagli investigatori della sezione anticrimine della squadra mobile di Potenza durante le ultime indagini sulle attività del clan Martorano.

L’episodio risale ad agosto del 2020 quando uno dei presunti spacciatori riforniti dal clan, il 28enne Gerardo Vece (in carcere da lunedì) venne fermato in viale del Basento, nella zona commerciale del capoluogo, da una volante della polizia, “imbeccata” dai colleghi dell’anticrimine, con una pistola e della droga nel marsupio.

Poco prima, infatti, gli investigatori avevano assistito a un’animata discussione all’interno del bar di un centro commerciale tra un amico di Vece, il 29enne Giambattista Pace, e il presunto “reggente” del clan, Donato Lorusso, che per gli inquirenti sarebbe stato anche il referente per lo spaccio di droga in città. Discussione che secondo gli investigatori sarebbe ruotata attorno a un debito di 2.500 euro per una fornitura di droga che Lorusso avrebbe preteso che fosse saldato. Fino a quando non è intervenuto l’ex agente della polizia penitenziaria Salvatore Santoro (anche lui arrestato), che aveva accompagnato Lorusso sul posto e sarebbe rimasto fuori a fare la guardia. Per questo a un certo punto si sarebbe accorto della presenza di Vece, nascosto nel parcheggio del centro commerciale.

Il giorno dopo, la notizia dell’arresto del 28enne, e dell’arma che nascondeva dal marsupio, avrebbe avuto non poca risonanza nei dialoghi dei presunti esponenti del clan monitorati dagli investigatori. Ma a restituire con chiarezza la gravità della situazione è stato l’intervento improvviso del nonno omonimo di Pace: 69enne già arrestato e condannato per associazione mafiosa col boss Renato Martorano e il gruppo storico del clan negli anni ’90. Nell’ambito del primo processo, soprannominato Penelope, che ha dimostrato l’operatività di un’associazione mafiosa in Basilicata.

Perché l’audacia di un ragazzo che va armato all’incontro con un maggiorente del clan come Lorusso non poteva passare impunita. E in strada uno sgarro simile si paga caro.

«Allora Gianni io ti voglio dire una cosa… allora se voi avete deciso, se voi avete deciso di farmi morire di crepacuore io (…) voi e la Madonna Santissima ma da quanto tempo vi sto dicendo… da quanto tempo ti sto dicendo (…) da quanto tempo ti sto dicendo: “Gianni statevi fermi! statevi fermi!” (…) Mi spieghi.. Io voglio sapere che sei andato a fare con la pistola là, (…) ah?». Queste le parole di nonno Pace, un tempo soprannominato “il pistolero”, al nipote.

Due giorni dopo per paura ritorsioni il 69enne Pace si sarebbe rivolto personalmente anche al boss, Martorano, chiedendogli il perdono. Poi sarebbe tornato a redarguire il nipote che intanto aveva pensato di dire che si erano portati dietro quella pistola soltanto perché dovevano farla aggiustare. Quindi gli avrebbe intimato di smettere di spacciare per un po’.

«Allora le cose si devono fare con il cervello, nonno. Dici: “Senti a me mi è capitato questo dovrei fare questo…” Cioè io dov’è che mi girano ì coglioni… che hai voluto dimostrare quello e quell’altro (…) Ma se tu già sai che quello non si tocca! Ma allora sei scemo?! (…) E’ logico che uno pensa delle cose che non sono emhh… Informati. Tu vedi cinque persone, uno dietro una una dietro… Ma che mi hai dimostrato? Io ho voluto fare il buffone verso di voi che poi non c’era bisogno! Perché quello già sa. Ti ha detto di andare da solo (…) E solo dovevi andare! (…) Io allora ho voluto dimostrare, gli amici miei sono venuti “accavallati” ma per fare cosa? (…) La fortuna sua e che quello non la teneva appresso perché se no era “p’lzà”. Poi vai.. e ti porti pure trecento grammi di schifezza appresso? E che cazzo dai! Ma il cervello lo tenete?».

L’ultima lezione del nonno al nipote è sulla necessità di evitare gli incontri allargati anche per evitare una contestazione di associazione a delinquere che necessita di almeno tre persone. «Cioè tu vai ad un appuntamento…. vedono le telecamere e ci arrestano e ci danno l’associazione (…) tre persone scatta… se quelli vedono le telecamere che stavate parlando con quello e con quell’altro vi danno l’associazione! Ma voi queste cose non le capite! Una cosa è che parliamo io e te: due persone non ci possono dare l’associazione. Una cosa è tre persone con questo e con quell’altro! E queste cose voi non le capite, ma io ve le cerco di spiegare… Nonno io non ce la faccio più. Io penso che poco tempo e vi lascio».

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