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La conferenza stampa degli investigatori in occasione dell'operazione "Lucania felix"

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POTENZA – C’è un’ombra inquietante che avvolge l’esplosione che nella notte tra sabato e domenica ha distrutto l’ingresso del bar al civico 20 di viale del Basento (LEGGI). È da almeno 5 anni, infatti, che il locale in questione è finito sotto la lente degli inquirenti della Direzione distrettuale antimafia, per cui il suo reale proprietario sarebbe niente di meno che “il reggente” del crimine organizzato nel capoluogo. Vale a dire il 47enne Michele Scavone.

A fine novembre Scavone è scampato per un soffio al blitz dell’Antimafia per cui sono finite in carcere e ai domiciliari 38 persone coinvolte nell’inchiesta “Lucania felix” sugli affari dello storico clan capeggiato dai boss Renato Martorano e Dorino Stefanutti. Negli atti dell’inchiesta, però, il suo nome compare svariate volte. Come pure quello della caffetteria “Al bar” di viale del Basento, per cui Scavone parrebbe essere riuscito a ottenere persino un finanziamento a fondo perduto di 30mila euro, aggirando i paletti per chi è sottoposto a “provvedimenti di prevenzione antimafia”.

Nella richiesta di misure cautelare formulata dal procuratore capo di Potenza, Francesco Curcio, e dal pm Annagloria Piccininni, viene evidenziata anche un’altra circostanza sinistra a proposito della caffetteria di Scavone, e di un’altra attività simile aperta nello stesso periodo, ma al capo opposto della città, dall’altro presunto “reggente” del clan, Alessandro Scavone, solo omonimo del primo ma compartecipe di molte delle sue vicissitudini giudiziarie.

“Con la gestione criminale del clan “Martorano-Stefanutti” da parte degli Scavone e l’apertura degli stessi di esercizi commerciali, segnatamente bar-caffetterie intestati a prestanome – questo è quanto si legge negli atti a firma di Curcio e Piccininni –, si registravano sul territorio di Potenza una serie di danneggiamenti seguiti da incendio di chiara matrice dolosa, ai danni di rivendite di articoli natalizi e bar, con azioni delittuose assolutamente identiche tra loro, per arco temporale, modalità esecutive ed impiego di liquido infiammabile”.

Segue il riepilogo degli episodi menzionati, ovvero l’incendio a un bar in piazza Zara, a gennaio del 2016, quello in un altro bar di viale del Basento, a febbraio del 2016, “un’azione incendiaria non andata a buon fine per circostanze fortuite ed indipendenti dalla volontà degli autori” risalente a novembre del 2015, in viale Firenze, e l’incendio di una rivendita di articoli vari, sempre in viale del Basento, a dicembre 2015”.

Il sospetto degli inquirenti, insomma, è che ci sia un collegamento tra l’apertura di quelle attività e i danneggiamenti subiti dalla concorrenza. Quali siano i riscontri raccolti al riguardo, però, non viene spiegato. Piuttosto, viene inquadrato il tutto come il riflesso di cambiamenti nell’equilibrio del crimine organizzato della città.

“Si tratta – proseguono gli inquirenti dell’Antimafia lucana – di una sequenza di azioni criminali senza precedenti per la città di Potenza, neanche quando la stessa era interessata dalla forte contrapposizione del clan ‘Martorano-Quaratino’ con il nascente sodalizio mafioso dei “Basilischi”, culminata come già si è avuto modo di dire nel duplice omicidio dei coniugi Gianfredi (1997, ndr) ed ancora nei contrasti sorti tra i sodali rimasti fedeli al noto Cossidente Antonio e quelli appartenenti al clan “Riviezzi” di Pignola, in seguito allo sfaldamento dei ‘Basilischi’ e alla decisione del Cossidente di collaborare con la giustizia (2010, ndr)”.

Non c’è dubbio, quindi, che anche quanto accaduto nella notte tra sabato e domenica verrà vagliato in maniera approfondita, per capire chi ha potuto pensare di colpire Scavone in maniera così plateale: se qualcuno all’interno del presunto clan, magari insoddisfatto per la sua “reggenza”; o altri che malsopportano l’egemonia del gruppo “Martorano-Stefanutti” sui vari traffici clandestini in città, droga in primis. Negli atti dell’inchiesta Lucania Felix, Scavone viene indicato come quarto in comando del clan dopo i due boss, e il luogotenente di Stefanutti, Donato Lorusso.

Stando al contenuto di diverse intercettazioni avrebbe provveduto, tra l’altro, al sostentamento di Stefanutti, e dei suoi familiari, durante i periodi di detenzione del boss. Come pure al pagamento dei compensi per uno dei suoi legali. “È in rapporti e collegamenti – proseguono i pm – con esponenti della “ndrangheta calabrese facente capo alle cosche operanti in agro di Ciro marina, presso i quali accreditato”.

A suo carico è ancora pendente un processo per estorsione aggravata dal metodo mafioso per aver provato a imporre al titolare di una discoteca l’affidamento dei servizi di sicurezza a una ditta “amica”. È stato prosciolto per prescrizione assieme agli altri imputati, invece, per il grosso delle accuse al centro dell’inchiesta sulla cosiddetta “calciopoli rossoblu”, che nel 2009 aveva preso di mira un presunto giro di scommesse clandestine e i rapporti pericolosi tra la malavita e il Potenza calcio guidato dall’allora patron Giuseppe Postiglione.

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