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La palazzina dell'incendio di Catanzaro

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GLI ultimi, gli invisibili, quelli che vivono ai margini – sempre più vasti – di una società disattenta. Soggetti che spesso diventano oggetto di dibattito, di iniziative per denunciare quanto poca, o comunque insufficiente, sia l’attenzione alle fasce deboli. Persone. Già, quelle stesse persone “invisibili” che però visibili sono state o sono per un esercito di volontari che nelle nostre città e nelle nostre periferie fanno del loro meglio, fanno quel che possono, assai spesso con le poche risorse che riescono a racimolare.

È la grande questione, questa sì poco visibile, che sta sullo sfondo della tragedia che si è consumata a Catanzaro. E che sopravvive nella sua enorme portata alla ricostruzione che alla fine sarà fatta sulla dinamica di quanto accaduto al quinto piano di una palazzina popolare nel quartiere Pistoia del capoluogo. Un quartiere, al pari di altri nella stessa zona sud di Catanzaro, fra il centro e Lido, popolato da disagio economico, malessere sociale e inevitabilmente interessato, come sovente accade nelle periferie più abbandonate di piccole e grandi città, da per niente invisibili attività di delinquenza e spaccio di droga. Che, inutile sottolinearlo, con la grande questione del malessere socio-economico non necessariamente possono averci del tutto a che fare.

Quando si legge che le fasce di povertà delle famiglie calabresi vanno allargandosi si dovrebbe evitare di ridurre quello che è un grave campanello d’allarme a un numero freddo, al pari di quello delle nuove immatricolazioni di auto piuttosto che delle esportazioni di superalcolici. Le carenze dei servizi sociali e le casse vuote dei Comuni – che una volta potevano fare di più per alleviare il disagio – sono dati acquisiti. La precaria condizione di vita degli invisibili lo è di meno, salvo poi avere ipocriti sussulti quando ci sono di mezzo le tragedie. Che non sono necessariamente di portata devastante come quella di Catanzaro, spesso si consumano in silenzio, non fanno notizia, a volte solo perché non si conoscono. Con tutto il dolore e la commozione che quanto accaduto in quel rione catanzarese ha suscitato e suscita, e con il rispetto che si deve alla dignità delle persone coinvolte che gioivano quando associazioni di volontariato portavano loro da mangiare e di che vestirsi, sarebbe bene prendere consapevolezza che i fatti di cronaca passano, rimane nel tempo un ricordo più vivido in alcuni, molto più sbiadito per i più.

Ma la grande questione resta. Rimane il capitolo aperto degli invisibili, che è il dramma sopito di persone in carne e ossa che combattono, che soffrono, che si lasciano andare a scoramenti pesanti, ma che invisibili sono solo per chi non voglia vederle. Se da questione sottotraccia diventasse nei fatti una questione sentita, per cui tutti si sentano chiamati in causa per attivarsi, come si può e dove si può, sarebbe un primo passo in avanti. E attivarsi vuol dire mostrare e dimostrare consapevolezza e partecipazione. A quel punto non sarebbe solo un numero da citare nei report e chi può farlo più difficilmente si esimerà dall’intervenire, negli angoli nascosti, a pochi passi dai salotti buoni ed effimeri di piccole e grandi città calabresi, con pochi tappeti e per di più stesi su letti di polvere.

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