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Populismo, la parola magica del grande equivoco

È arrivato il giorno delle elezioni del nuovo Parlamento in formato ridotto. Chissà se da domani, o almeno fra un mese, il tempo di smaltire la sbornia della campagna (elettorale) d’estate, avremo qualche giorno in cui non sentiremo più parlare di populismo, populisti, iperpopulisti, populisti a metà e via discorrendo… Populismo, già.

Se non fosse che a scuola ci hanno avvertito che gli “ismi” solitamente esprimono una valenza negativa, verrebbe quasi da prendere in simpatia questa parola. Una parola che ci riporta al popolo, anzi, ai popoli, dal momento che il generoso eloquio della politica ha reso di uso comune espressioni quali “il popolo dei lavoratori dipendenti”, il “popolo delle partite Iva”… E il buon senso ci farebbe aggiungere altri “popoli” (quello, per esempio, delle famiglie in povertà assoluta o relativa) quali tessere del mosaico della società contemporanea. Tessere che esprimono, evidentemente, i bisogni comuni a gruppi del popolo italiano. Il termine populismo è usato da tempo con significati diversi da quello originario (si rimanda ad un buon dizionario per chi ne volesse sapere di più) e declinati di volta in volta secondo necessità.

POPULISMO, LA PAROLA DEL GRANDE EQUIVOCO

Negli ultimi mesi, solo a leggere o ascoltare le cronache politiche, è apparso legittimo il dubbio se siano più i populisti – intesi con maglie larghe e un po’ come più piaccia – o gli analisti che ne discettano sommati ai politici che apparentemente ne prendono le distanze. Questa parola, insomma, anche se non sappiamo che cosa indicasse quando è stata coniata, è entrata a far parte della nostra vita. Ci sono fior di saggi e dotte dissertazioni sul fenomeno, con argute reinterpretazioni tagliate per i nostri giorni. Così come, del resto, per quel che riguarda gli “ismi”.

La scorpacciata di invettive contro nuovi e vecchi populismi, in tempi recentissimi, ha alimentato per la verità un dubbio. E cioè che questa parolina magica sia solo uno stratagemma per mascherare la lancia con cui colpire gli avversari e, in taluni casi, alimentare una battaglia “contro” che altro non è che un modo per allontanare artatamente da sé responsabilità e incapacità. Si intuisce facilmente che non è un discorso che dà per scontata una divisione netta tra forze politiche populiste e non populiste. Dal momento che proprio in questa campagna elettorale la gente si è resa conto che argomenti cari a coloro che vengono considerati “populisti ufficiali” sono stati utilizzati da candidati appartenenti a forze politiche che della lotta ai “populisti ufficiali” hanno una bandiera della propria proposta politica (sic, doppio sic: per la sottrazione indebita e per la qualità della piattaforma propositiva esternata agli elettori).

I DUBBI SUL VALORE DELLA PAROLA POPULISMO

Delle due l’una: o qualche volta le proposte populiste rispondono a esigenze sentite da uno o più “popoli” (e in questo senso la libera interpretazione manda temporaneamente in soffitta l’avvertenza generale sugli “ismi”) o questa parola è un fronzolo per abbellire il nulla.

Dopo il dubbio, in verità, c’è anche un grosso equivoco di fondo, sciolto il quale la nostra vita “acustica” sarebbe finalmente ripulita dal nulla, appunto, che spesso le parole populismo e antipopulismo esprimono.

Se uno promette che abolirà tutte le tasse, farà viaggiare gratis su treni e aerei e assicurerà un congruo corredo in dote ad ogni giovane nuova famiglia, per intenderci, e non spiega come farà a finanziare tutte queste belle cose, allora non è necessario dire che è un populista. Ci sono termini e aggettivi che non si prestano a equivoci o interpretazioni multiple (l’elenco è lunghissimo e comprende, in questo caso, parole poco carine persino da scrivere).

POPULISMO O POPOLARE, IL VOTO LIBERO È UN MOMENTO DI VERIFICA

Andiamo a votare, con la mente sgombra. Sapendo che c’è un altro terreno su cui i partiti devono misurarsi – se ne sono capaci – in questa fase delicatissima che si sta attraversando. È quello delle cose “popolari”, nel senso di atti e fatti che rispondono ai bisogni dei “popoli”, perché dopo le elezioni non c’è neanche il rischio che le cose “popolari” vengano usate come esche. Si fanno o non si fanno. Nell’uno e nell’altro caso il voto libero espresso avrà un momento di verifica. Che faremo senza che in sottofondo si blateri di “ismi”.

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