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Lo striscione degli ultrà del Cosenza che chiedono giustizia per Denis Bergamini

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COSENZA – Il Muro di Berlino era caduto nove giorni prima. Era il novembre del 1989 quando un giocatore bello di aspetto e prospettive, venne rinvenuto morto a Roseto Capo Spulico. Si chiamava Donato Bergamini ed era la stella nascente del calcio a Cosenza. Un suicidio archiviato troppo in fretta nelle decisive prime 48 ore tutte dedicate al dramma sportivo e dei familiari.

Dopo 32 anni si celebra un processo nella Corte d’Assise di Cosenza che riavvolge molte moviole nel nastro della storia. Per la prima volta appare in carne ed ossa Isabella Internò, l’ex fidanzata del centrocampista, accusata di aver ordito l’esca di un terribile omicidio per strangolamento che ancora non ha nomi di presunti complici.

Isabella indossa un sobrio pull nero a pois celesti, occhiali da vista, jeans e mascherina nera che non le consegnano alcuna immagine di mantide che il processo mediatico le ha affibbiato per nomea.

Il tribunale ha avuto la premura di farla entrare da un’uscita secondaria per evitarle il plotone di telecamere e telefonini dei giornalisti che ha sempre evitato e a volte fisicamente dribblato.

Sta seduta di fianco all’avvocato Rossana Cribari, figlia d’arte di Luigi, che si è unita al difensore Angelo Pugliese, bretelle blu, e un nugolo di giovani procuratori con outfit moderno d’ordinanza a far scudo alla loro assistita. Non parlano con i giornalisti. Rossana solo qualche saluto di circostanza ai cronisti che conosce: «Cominciamo ‘sta battaglia».

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Fuori pioviggina. Il sit in a sostegno dei tifosi a supporto della famiglia Bergamini deve aver avuto qualche problema di comunicazione e organizzazione. Pochi ultrà con due bandiere. Un fascio di fiori rossoblù fuori dal tribunale. Più una testimonianza che una mobilitazione.

Dentro misure di sicurezza triplicate. Un plotone della locale Questura rafforza i carabinieri di servizio. Perquisizioni e controllo dei documenti alla fine del corridoio. Entrano solo le parti, i giornalisti accreditati e poche persone per il pubblico. Secondo un’antica consuetudine del Tribunale di Cosenza niente telecamere in aula. Il processo non si tramuterà in spettacolo.

Arriva l’avvocato di parte civile. Fabio Anselmo, un campione del processo mediatico per sua stessa ammissione: «Senza l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica non avremmo raggiunto gli stessi risultati», ha dichiarato in un’intervista che lo definisce “l’avvocato dei morti di polizia”.

Hippie da giovane, poi venditore di pentole, oggi l’avvocato dispensa speranze di Giustizia negata a furore di popolo. Quando parla in aula ricorda l’icona dell’avvocato Spazzali, l’antagonista di Antonio Di Pietro a Mani Pulite.

Ma Fabio Anselmo non difende politici, è stato l’avvocato della famiglia Aldovrandi e Cucchi.

Anselmo parla con la stampa prima e dopo l’udienza secondo abitudine. Evoca spesso Stefano Cucchi. Lo farà anche nell’unica schermaglia giurisprudenziale d’udienza, provocando la veemente reazione dell’avvocato Pugliese, entrambi subito sedati dal presidente Paola Lucente, magistrato decisionista capace e sicura nel dirigere i lavori.

Ha buona esperienza il presidente Lucente, con i faldoni a fianco, scruta e segna ogni dettaglio sull’agenda come ha fatto in decine di processi della sua lunga militanza togata che non le hanno impedito di apparire nelle chat di Palamara senza alcuna responsabilità personale. Solo a fine udienza il giudice ammonisce il pubblico che si è infilato in aula senza autorizzazione, avvisando che dalla prossima volta avvocati estranei al processo e testimoni non possono assistere. Per i primi c’è la procedura Covid che vieta assembramenti eccessivi, per la seconda contano le regole.

L’intesa con il giudice a latere, Marco Bilotta, è totale. I giudici popolari con la fascia tricolore addosso non fanno mai una piega. Si contano quattro donne. Quasi tutti i giornalisti, invece, riconoscono Gabriele Petrone, politico locale del Pd, chiamato ad una prova molto più impegnativa di qualsiasi campagna elettorale.

In questa aula non c’è morto di polizia come per i celebri processi dell’avvocato Anselmo. Il cadavere che avrebbe parlato questa volta s’ipotizza sia stato messo morto sulla strada per biechi motivi sentimentali e personali. Il truce potere che depista non ha movente istituzionale di copertura. Ma il processo mediatico ha un coro greco per nulla muto che nutre sospetti e deviazioni. L’unico poliziotto è il marito di Isabella Internò. Tutto sommato anche Bergamini può essere un morto di polizia, pur se nessun poliziotto è indagato. La Giustizia da talk show e la giurisprudenza da social ha un verdetto di colpevolezza già pronto. Basta vedere i titoli delle trasmissioni dedicate agli Internò: “Famiglie criminali”, “A un passo dalla verità”, “La fidanzata Isabella sa qualcosa”.

Per Isabella saranno udienza decisive quando rilascerà dichiarazioni spontanee e quando si sottoporrà al controesame senza sconti di Fabio Anselmo.

Le gabbie sono vuote. Un carabiniere sta sotto il busto di Bernardino Alimena, filosofo del Diritto, cui sarebbe utile rileggere qualche pagina del suo “Sulla psicologia della premeditazione” per trovare riscontri legali al presunto delitto Bergamini.  

Due pause per camere di Consiglio. Procedure attorno alle certezze confutate di difesa e accusa. Avvocati di parte civile vicini al pubblico ministero come sulla panchina di calcio di una partita, con il pm Primicerio che sostiene il teorema Facciolla, il procuratore di Castrovillari che ha creduto nella riapertura delle indagini, oggi lontano a Potenza.

E’ un processo alla città di Cosenza il processo Bergamini. Sul banco dei testimoni sfileranno tutti quelli che lo hanno conosciuto in campo e fuori in quel magico momenti da Lupi. Mancheranno solo i morti come lui. Gigi Marulla e l’allenatore Gigi Simoni. Nomi da leggenda. Poi deporrà anche chi sapeva dei tradimenti della coppia, chi vide Bergamini l’ultima settimana e anche quel maledetto ultimo giorno.

C’è Denis, il nipote, il figlio della sorella Donata. In aula e fuori dice ai giornalisti: “Non vorrei sentire più parlare di suicidio”.

Sul selciato del Tribunale l’acqua piovana deteriora il mazzo di fiori deposto dai tifosi. I colori rossoblù del Cosenza sono lo sfondo di una tragedia. Iniziata nove giorni dopo la caduta del Muro di Berlino nel secolo scorso. E incardinata 32 anni dopo in un aula di Tribunale il 25 ottobre del 2021.

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