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La statua di Giacomo Mancini

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di ANTONLIVIO PERFETTI

SENZA nulla voler togliere al talento e alla quotazione professionale del maestro Domenico Sepe, autore della statua in bronzo che raffigura Giacomo Mancini, superata l’emozione iniziale e mettendo a raffronto la statua con l’immagine che la memoria collettiva conserva di Mancini, qualche osservazione va consentita.

Intanto è irrituale che a “svelare” la statua di un personaggio da celebrare sia chi l’ha materialmente realizzata, salvo il caso che la statua sia dono dell’artista che l’ha concepita e interpretata. Nel caso specifico si deve ritenere che al maestro Sepe la statua sia stata commissionata dalla Fondazione Mancini sulla base di una foto considerata la più rispondente all’immagine pubblica del soggetto. La perplessità è supportata dal fatto che alla cerimonia c’era Franz Caruso, con tanto di fascia tricolore, che da socialista ha riconquistato, dopo la morte di Mancini, la guida del Comune. È pur vero che, nelle intenzioni della Fondazione, la cerimonia voleva «superare le appartenenze» perché la memoria del “Leone socialista” deve appartenere alla memoria di tutta la città.

E chi meglio e più del sindaco, fosse stato pure postdemocristiano, poteva esprimerne istituzionalmente il sentimento? Si deve conseguentemente ritenere che, per le stesse ragioni, alla cerimonia non c’erano bandiere, nè rosse nè socialiste e, forse per eccesso di zelo, nemmeno una tricolore pur nella ricorrenza del 25 aprile. Ma se questa è stata la scelta della Fondazione, pur dissentendo, va rispettata. Con molta umiltà, invece, è legittimo rilevare, in merito alla statua, delle incongruenze che riguardano l’opera per come realizzata, tanto più che l’artista ha esplicitamente dichiarato di avere studiato a fondo la personalità e la storia politica di Giacomo Mancini. Va da sé che chi l’ha conosciuto da vicino, ne è stato amico e compagno di tante battaglie politiche ha tutto il diritto di dissentire.

Intanto andrebbe spiegato perché alla statura di Giacomo Mancini sono stati “tagliati” non pochi centimetri – almeno questa è la sensazione– rispetto alla sua altezza naturale che tutti si ricorda quale imponenza avesse. Abbassandone la statura verosimilmente si è reso necessario, per ragioni di proporzioni, ritoccare la silhouette della parte centrale del corpo che diventa un’alterazione della fisicità del soggetto.

Perplessità stimola anche l’espressione di Mancini, caratterizzata da uno sguardo dritto, finalizzato a sondare negli occhi dell’interlocutore il pensiero sottostante. Può darsi che siano dettagli spiegabili con esigenze tecniche dell’artista cui va comunque riconosciuto di avere dato, nell’insieme, una immagine di Giacomo Mancini dai più riconoscibile. Quello che invece non si può accettare, per come lo ha spiegato lo stesso maestro Sepe, è la collocazione della statua direttamente sulla pavimentazione dell’isola pedonale, cioè senza piedistallo, perché così la figura di Mancini assume la dimensione umana di un qualsiasi cittadino che si può incontrare lungo la passeggiata del Mab le cui sculture hanno tutte un basamento.

Al riguardo non si comprende da quale esigenza interpretativa discenda questa “umanizzazione” di Mancini a misura d’uomo. Non risulta che personaggi della storia, da Giulio Cesare ai giorni nostri, passando per la Prima e la Seconda Repubblica dei nostri tempi, meritevoli di essere consegnati alla memoria collettiva, siano stati “appiedati” a misura d’uomo. Per favorire e incoraggiare i selfie senza mettere in conto vilipendi e vandalismi? Il “Leone socialista” deve restare leone, perché il titolo se lo è guadagnato al servizio del Paese, della Calabria e della sua città. Il sindaco Caruso, se vuole, può ovviare d’ufficio a tutta una serie di inconvenienti facilmente ravvisabili, stabilità compresa, che la collocazione presenta. In molti gliene saremo grati e, comunque la si pensi, un piedistallo a Mancini glielo dobbiamo. Senza voler fare torto a nessuno.

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