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CUTRO – Avevano chiesto un “pensiero” per mantenere i loro familiari detenuti e perché Giuseppe Ciampà, nipote del boss Antonio Dragone, era stato scarcerato dopo una lunga detenzione in seguito a una condanna per omicidio: ma è arrivata la denuncia dell’imprenditore Rosario Mattace, facendo da apripista ad altri imprenditori, e sono scattati cinque arresti per estorsione con l’aggravante mafiosa. In manette sono finiti Giuseppe Ciampà, di 42 anni, Salvatore Ciampà (39), Francesco Martino (27), Salvatore Martino (32) e Carmine Muto (41).

L’inchiesta, condotta dalla Squadra Mobile della Questura di Crotone e coordinata dalla Dda di Catanzaro, è partita dopo la denuncia dell’imprenditore Mattace, peraltro in passato candidato a sindaco di Cutro con una lista di centrodestra, socio e amministratore della Mattace srls, che gestisce la nota attività di ristorazione “La locanda”. L’indagine si è poi arricchita con le denunce di altri imprenditori potenziali vittime. Secondo la denuncia, l’imprenditore Mattace sarebbe stato avvicinato tramite un suo cugino e socio, che gli aveva riferito della richiesta di incontro da parte di coloro che si sarebbero rivelati come “esattori” del clan. Una volta al loro cospetto, Mattace sarebbe stato invitato a lasciare il telefonino per eludere eventuali intercettazioni e gli sarebbe stato intimato di consegnare periodicamente cifre. Successivamente sarebbe stato pedinato in auto e poi raggiunto da Carmine Muto che con fare minaccioso gli avrebbe chiesto di soddisfare le richieste di “pizzo”.

Le intercettazioni e le videoriprese eseguite dagli investigatori avrebbero confermato che componenti delle famiglie Ciampà e Martino, riconducibili alle più blasonate e tra loro rivali famiglie di ‘ndrangheta dei Dragone e dei Grande Aracri, erano impegnati in un più ampio disegno estorsivo per rafforzare la loro egemonia mafiosa sul territorio. I due Ciampà sono accusati anche di estorsione ai titolari di Pentabloc, Antonio e Francesco Pupa, padre e figlio. In più occasioni Giuseppe Ciampà si sarebbe presentato loro chiedendo “regali” per garantire “protezione”. I due Martino avrebbero costrettto a Palma Caccia, Giuseppe Valerio e Luigi Lecce, soci di Metalgrond, a consegnare loro 1200 euro in contanti come rata estorsiva da versare in maniera continuativa. Somme inferiori, di circa 400 euro, sarebbero state imposte a Domenico Lepiani, titolare di una ditta individuale.

Le accuse ipotizzate dai pm antimafia Domenico Guarascio e Paolo Sirleo sono state ritenute sufficienti dalla gip distrettuale di Catanzaro Ariannia Roccia per l’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di tutti e cinque gli indagati. L’inchiesta attesta, dunque, che si sono rimesse all’opera fazioni criminali fino a qualche anno fa in guerra, spartendosi il territorio forse con un tacito accordo. Giuseppe Ciampà è un nipote storico del boss Dragone ed ha scontato una lunga pena per l’uccisione di Salvatore Blasco, ordita dal vecchio boss, poi assassinato, per vendicare la morte del figlio Raffaele. La guerra negli anni di piombo era contro il rivale Nicolino Grande Aracri, che successivamente sarebbe stato condannato all’ergastolo anche per l’uccisione del boss Dragone. I due Martino sono figli di Vito, componente del gruppo di fuoco di Grande Aracri.

«Finalmente il muro di omertà che ha caratterizzato questa provincia fino ad ora comincia a sgretolarsi. Parliamo di più imprenditori che denunciano. Ci troviamo a un punto di svolta. Questa operazione è una pietra miliare nel territorio, ha un grande significato, e pertanto sia da stimolo e incoraggiamento contro l’arroganza e la prepotenza mafiosa», ha detto il questore della provincia di Crotone, Marco Giambra, rinnovando l’invito agli imprenditori vessati dalla ‘ndrangheta a rivolgersi alle istituzioni. Non a caso la Dda di Catanzaro in un comunicato sottolinea «l’importanza della denuncia» nel contrasto al fenomeno delle estorsioni ai danni degli operatori economici.

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