L'incontro conclusivo del ciclo di Pedagogia antimafia a Crotone
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La pedagogia antimafia e la scuola della Costituzione come formazione permanente per una visione trasformativa della realtà
RIPENSARE il processo formativo come educazione permanente perché l’istruzione, secondo una celebre espressione di Caponnetto, «toglie erba sotto ai piedi della cultura mafiosa». È stato questo il principio base del ciclo seminariale “La scuola della Costituzione”, percorso educativo organizzato, nell’ambito del progetto nazionale Barbiana 2040, dal corso universitario di Pedagogia dell’Antimafia dell’UniCal e dal Liceo classico “Pitagora” di Crotone.
PEDAGOGIA ANTIMAFIA E FORMAZIONE PERMANENTE
Una cultura mafiosa da estirpare grazie alla promozione della giustizia e dell’uguaglianza sociale. Perché se è vero che esiste la cultura mafiosa c’è anche la cultura funzionale alle mafie e si alimenta di mancato senso di responsabilità e partecipazione alla vita collettiva. Miseria, violenza, orrore sono il filo con cui abbiamo tessuto negli anni le nostre storie. Ma l’orrore non ha mai la futilità del presente e diviene pietra di inciampo per il futuro. Soprattutto in quei territori in cui il fenomeno mafioso è il prodotto dell’interazione tra criminali, soggetti sociali ed economici.
FORNIRE STRUMENTI FORMATIVI
Le nuove leve criminali assumono sempre più il volto di power-brokers che hanno dimostrato di poter passare dal pastoralismo al dominio dei mercati finanziari. E allora il primo passo è dare a scuola a tutti l’unico strumento che ci fa eguali, la parola. «Tutto quello che ho per difendermi è l’alfabeto, è quanto mi hanno dato al posto di un fucile» scriveva Philip Roth in “Operazione Shylock”. E aveva ragione. Perché le parole obbediscono, a differenza degli uomini, alla stessa legge.
Leonardo Sciascia era solito ripetere che l’Italia è un Paese molto particolare. Senza verità. O se si preferisce, con tante verità che fanno a gara fra di loro. E tante verità costituiscono tante bugie nelle quali in molti hanno imparato a sguazzare. Viviamo in un Paese in cui la borghesia mafiosa gestisce ogni cosa. Le reazioni contro le mafie sono spesso ipocrite. Colpiscono solo il livello militare dell’organizzazione. Tutto il resto, come in ogni sistema capitalista che si rispetti, continua indisturbato a fare affari. Con le mafie, in silenzio, si deve convivere. Come nel “Paese dei ladri” descritto da Calvino, tutti vivono in concordia e senza danno, «poiché l’uno rubava all’altro, e questo a un altro ancora e così via». Al banchetto concorrono in tanti. Si diventa parte del sistema, se ne ricavano benefici e si fa in modo di conservarlo così com’è.
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CAMBIARE MENTALITÀ
Poi, però, c’è un altro lato della medaglia. E la povertà, quella vera, esiste. Ma, per opporsi ad un sistema di potere, è necessaria l’affermazione di una nuova egemonia culturale nella società civile. Questa lotta potrebbe apparire impari. Per questo servirebbe scardinare un sistema pedagogico atavico e ossequioso sostituendolo con prassi, come quelle di don Milani e Freire, che siano in grado di investigare la realtà, quella realtà che sorge dalla costante mediazione fra l’uomo e l’ambiente. Ma al Sud abbiamo conosciuto, direbbe Gramsci, solo “rivoluzioni mancate”. E questo rende tutto più difficile. Le forze radicali sono state egemonizzate da chi non è stato capace di comprendere i bisogni reali delle masse che non sono state in grado di costruire una volontà collettiva cosciente. Alla scuola il compito di educare alla responsabilità in un Paese diviso in cui la questione morale non è diventata una questione politica.
*docente
del Liceo classico “Pitagora” di Crotone
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