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Pietro Castellitto e Marco Rossetti, rispettivamente Francesco Totti e Daniele De Rossi

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Entrambi romani, entrambi romanisti, entrambi legati per tutta la carriera ad un’unica maglia. In campo hanno condotto insieme copiose battaglie. Uno, Francesco Totti, era il capitano. L’altro, Daniele De Rossi, il suo vice. I due sono stati più che compagni di squadra, quasi dei fratelli acquisiti. Insieme hanno pure alzato al cielo la Coppa del Mondo con la casacca della Nazionale nel 2006 in Germania. Una sorta di simbiosi calcistica e identitaria. Eppure, in una città preda di eccessi, sono spesso stati messi in contrapposizione. Ad alimentare il contrasto il fatto che nel documentario Mi chiamo Francesco Totti, la figura di De Rossi appaia giusto in qualche fotogramma. Colui che ha ereditato da Totti la fascia da capitano non è però un personaggio così marginale in Speravo de morì prima. Marco Rossetti è l’attore che interpreta De Rossi.

Emerge qualcosa di più approfondito del rapporto tra i due nella serie?

«È la storia di Totti, il protagonista è lui. Ma emerge anche un po’ il lato umano di De Rossi, il quale deve prendersi la responsabilità di ereditare la fascia da capitano da un personaggio così importante».

Eppure nel libro e nel documentario trovano più spazio di De Rossi figure come Giannini e Cassano. Se per il primo è comprensibile, essendo stato l’idolo del Totti giovane, per il secondo forse un po’ meno.

«La figura di Cassano è molto utile da un punto di vista letterario e cinematografico, perché serve a romanzare il pensiero di Francesco Totti. La definirei una licenza poetica. Sì, è vero che De Rossi non appare molto, ma le scene in cui c’è sono a mio avviso molto significative».

Trapela qualcosa del rapporto tra Spalletti e De Rossi?

«No, nulla di esplicito tra i due. Ma emerge che nelle varie discussioni tra Totti e Spalletti, De Rossi cerca di fare da paciere».

De Rossi è un personaggio tutt’altro che banale. Secondo lei potrebbe essere il soggetto di un altro prodotto cinematografico?

«Sì, assolutamente. Lo dico da tempo alla casa di produzione, la Wildside: la storia di De Rossi è molto interessante, così come è viscerale il rapporto con la tifoseria. Sui calciatori si sta lavorando tanto, vedremo».

Ha avuto modo di confrontarsi personalmente con De Rossi?

«C’è stato un episodio divertente: ho postato su Instagram una foto mentre stavo facendo delle prove di trucco e parrucco ed avevo dei capelli rossissimi tipo carota. Daniele ha visto e mi ha scritto sul social una cosa del tipo “ma questi sarebbero i capelli miei?!”. Ci abbiamo un po’ scherzato su e poi mi ha fatto un “in bocca al lupo” per le riprese. È stato carinissimo».

Vi siete incontrati?

«No, non ho insistito. Il periodo è quello che è e dunque ho preferito lasciarlo in pace. Del resto la sceneggiatura era molto chiara».

E con Totti? Vi siete visti sul set?

«Purtroppo non c’è stata occasione. È passato diverse volte, ma sempre quando io non c’ero. Spero che ci possa essere modo di vederci tutti insieme quando sarà finito questo periodo balordo».

Lei è tifoso?

«Si sono tifoso, ma meglio sorvolare…».

Dell’altra squadra?

«Dell’altra squadra di Roma, esatto. Sono della Lazio. Ma è stata un’esperienza molto bella. I film biografici sono sempre molto affascinanti, ma anche rischiosi quando racconti la storia di personaggi che sono ancora in vita».

E il personaggio che interpreta?

«È stato bello e stimolante, mi ritengo molto fortunato. Perché mi sono messo al servizio di qualcosa che esiste, che ha una grande fama popolare. Poi devo dire che, anche da laziale, De Rossi è un personaggio che stimo tantissimo».


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