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La scuola è il problema più grande di questo Paese, il primo fortino da espugnare per dare basi solide al palazzo della riunificazione delle due Italie. La seconda prova scritta dopo due anni di Covid e una scuola tenuta aperta in presenza da un ministro cocciuto, Patrizio Bianchi, e da un governo che ne ha fatto un banco di prova, significa assumersi delle responsabilità. Significa dimostrare che le teste stanno cambiando. I professoroni del Consiglio superiore della pubblica istruzione dicono no. Chiamiamoli “sindacaloni” e siamo più vicini alla realtà. D’altro canto la parte più sindacalizzata degli insegnanti è quella che riesce a farsi sentire di più e vuole gli “esami più comodi”. Ma in questo Paese di veti e controveti, dove le corporazioni vincono sempre, siamo certi che il ministro Bianchi terrà duro sulle prove d’esame del primo e del secondo ciclo

Seconda prova scritta alla maturità scelta dalla commissione interna che conosce i percorsi personali degli studenti? No, meglio un maxi colloquio generale “più comodo” per docenti e studenti. Seconda prova scritta logico deduttiva di matematica e un colloquio per verificare le competenze di lingua inglese e di educazione civica all’esame del primo ciclo? No, sempre no.

Questo dicono i professoroni del Consiglio superiore della pubblica istruzione senza rossore. Se uno vuole un’istantanea di una scuola girata all’indietro che non è in grado di fare quello che deve fare è sufficiente la faccia una a una di questi signori e di qualche loro rappresentante sindacale tra quelli sempre in tv per dire solo che non si può fare mai niente. Bastano le foto. Suggerisco solo di metterci sotto una didascalia di una parola: vergognatevi.

Siamo diventati un Paese dove si fa tutto in astratto. Si deve nascondere che si è fatto un quinto di quello che si doveva fare e si rinuncia in partenza a provare almeno di recuperare visto che ci sono quattro mesi pieni davanti. La parte più sindacalizzata degli insegnanti è quella che riesce a farsi sentire di più ed è anche quella che non ha fatto ciò che doveva fare. Ovviamente non lo ammette e vuole gli “esami più comodi”.

La scuola è il problema più grande di questo Paese, il punto massimo delle diseguaglianze territoriali in essere e il primo fortino da espugnare per dare basi solide al palazzo della riunificazione delle due Italie da qui a qualche tempo. La seconda prova scritta dopo due anni di Covid e una scuola tenuta aperta in presenza da un ministro cocciuto, Patrizio Bianchi, e da un governo che ne ha fatto un banco di prova, significa assumersi delle responsabilità. Significa dimostrare che le teste stanno cambiando. Scappano tutti.

Scappano i genitori che fanno gli avvocati dei figli. Scappano molti degli insegnanti, almeno tra quelli che si fanno sentire di più, che ovviamente non propongono. Su questo tema preferiscono nascondersi e scelgono sottobanco quasi sempre la via più comoda. Con questi esempi figuratevi che cosa desiderano gli studenti. Scappano anche loro (quasi) tutti dalla prova più selettiva. Ognuno ragiona male a modo suo, ma il ragionamento conviene sciaguratamente a tutti. Perché con l’orale è più facile chiudere un occhio, magari due, mentre con un documento scritto si va incontro a contestazioni. Si è obbligati a tenerne conto. Parliamoci chiaro. Una scuola pubblica all’acqua di rosa crea le basi costitutive della disparità di classe, della disparità territoriale, della disparità lavorativa.

Perché dove è necessario avere della vera formazione con il rilassamento generale e il taglio delle aspettative quella formazione la avranno solo coloro che si possono pagare scuole private. Nel 1860 con la scuola elementare obbligatoria ci fu la rivoluzione dei maestri. Nella Francia della terza repubblica i maestri erano considerati i missionari della terza repubblica. Negli anni dell’Italia del miracolo economico del Dopoguerra e soprattutto in quelli a seguire la scuola è stata il baluardo della nazione e la riforma della media unica di Fanfani unì nella civiltà terre e aree urbane, Sud e Nord, donne e uomini. In quella scuola si costruì il capitale umano che promosse e accompagnò la trasformazione dell’Italia in un quarto di secolo da Paese agricolo di secondo livello prima in un’economia industrializzata poi in una potenza economica mondiale.

Oggi la nuova sfida è ancora quella del capitale umano e gli investimenti diretti al Mezzogiorno con il Piano nazionale di ripresa e di resilienza che non hanno precedenti sono determinanti insieme con quelli del Fondo di coesione e sviluppo per la rigenerazione delle amministrazioni e delle aree urbane, lo sviluppo dell’economia privata dei territori, del capitale produttivo e della ricerca. Quando i ragionieri delle percentuali capiranno che questa è la sfida, non la recriminazione di ciò che non sappiamo spendere, anche il dibattito della pubblica opinione potrà cominciare a cambiare. Così come studenti e professori non troveranno più finalmente i loro cantori a destra e a sinistra in quello stesso dibattito perché la scuola smetterà di essere in tv solo cronaca sindacale.

Siamo certi che il ministro Bianchi terrà duro sulle prove d’esame del primo e del secondo ciclo. Anche in questo Paese di veti e controveti dove le corporazioni vincono sempre. Vogliamo solo aggiungere che, forse, abbiamo commesso un errore. Quelli del Consiglio superiore dell’istruzione non sono dei professoroni ma dei “sindacaloni”. Altrimenti non direbbero quello che dicono.


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