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Vladimir Putin

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Mosca offre all’India a 25 dollari al barile quello stesso petrolio che noi paghiamo oggi più di 100 dollari. Il petrolio è sempre stato un’arma politica e i fatti della guerra finanziaria ricalcano la mappa della geopolitica e ci ricordano che mezzo mondo, praticamente tutto quello non occidentale rappresentato nel G20, non è uscito da una vera posizione di neutralità nei confronti della Russia a partire dall’India. Che non condanna Mosca in sede Onu e chiede e ottiene di farsi autorizzare dagli americani l’acquisto di petrolio russo a prezzo di favore con il solo vincolo di pagare in rupie. Non si può più accettare che nel mondo autarchico ci siano la ferocia della guerra criminale e la solidarietà economica e nel mondo occidentale viceversa il comando americano senza le solidarietà americane e europee. Perché un Paese trasformatore, come l’Italia, non può competere nel mondo pagando il petrolio quattro volte di più dell’India. Per l’Europa non esistono alternative a fare subito debito comune soprattutto se Biden e Xi Jinping non riescono a chiudere la guerra entro un tempo ragionevole

Il petrolio è sempre stato un’arma politica. Mosca offre all’India a venticinque dollari al barile quello stesso petrolio che noi paghiamo oggi più di cento dollari. Per la precisione, nella giornata di ieri il petrolio ha ripreso a correre con forti rialzi rispetto a venerdì e quotazioni superiori ai 110 dollari. A causa delle valutazioni in atto dell’Unione europea sull’embargo per il greggio russo come ulteriore sanzione economica contro la guerra di Putin in Ucraina.

I fatti dimenticati da tutti, o quasi, della guerra finanziaria che ricalcano la mappa della geopolitica sono che mezzo mondo, praticamente tutto quello non occidentale rappresentato nel G20, non è uscito da una vera posizione di neutralità nei confronti della Russia a partire dall’India di Modi. Che non ha condannato Mosca in sede Onu, che ha un rapporto storico più forte con la Russia che con la stessa Cina. Che chiede e ottiene di farsi autorizzare dagli americani a denti stretti l’acquisto di petrolio russo a prezzo di favore con il solo vincolo di pagare in rupie.

Questa è l’India, secondo Paese più popoloso al mondo e quinta economia mondiale, che con la Cina, prima per abitanti e potenza economica mondiale che contende la leadership agli Stati Uniti, fanno insieme 2 miliardi e mezzo di persone, ma discorso analogo vale per il Sud Africa con una serie di Stati non allineati fedeli a Mosca anche loro in sede Onu e fedeli in generale alla Cina che ha fatto una grande campagna di prestiti in casa loro. Iran, Iraq, Pakistan e Kazakhstan si sono astenuti come la Cina sì o no? Che fanno il Brasile e l’Arabia Saudita con i loro distinguo più o meno pelosi dopo avere condannato con il voto l’invasione russa? Quanto valgono le sfumature differenti, anche di contenuto religioso, per l’Indonesia che oggi esprime con Joko Widodo la presidenza del G20? Come si muove il Sud America?

Inutile girarci intorno, questa è una guerra tra Est e Ovest, tra Oriente e Occidente. Non è ancora chiaro a nessuno chi ci guadagna di più da questa scomposizione degli interessi. Se, ad esempio, i cinesi ci guadagnano stando fermi perché possono aiutare la Russia o renderla dipendente che non è proprio la stessa cosa. Come si muoveranno tutti i soggetti che abbiamo citato in uno scenario di guerra lunga? Quanto potrà sopravvivere l’economia russa, con una moneta che non vale più niente e una popolazione molto cambiata dal ’98 a oggi, alla ostinazione criminale-militare di Putin? Esiste davvero questa ostinazione dell’invasore o è una lucida rappresentazione militare per trattare al meglio la pace con un Paese invaso che mostra una capacità di resistenza quanto meno sottovalutata? Che farà per davvero l’Europa?

Avremo l’esercito unico, la difesa europea unica finanziata dal bilancio europeo, o qualche finto coordinamento che metterà gli europei nella solita condizione di spendere più dei russi e di non avere nulla e di continuare a prendere ordini dagli americani? Volendoci occupare più direttamente degli effetti collaterali della guerra di Putin in Ucraina per la nostra economia, al Consiglio europeo di giovedì e venerdì prossimi l’Europa batterà o no il colpo degli acquisti unici di gas, degli stoccaggi, dei prezzi calmierati e degli aiuti di stato garantiti? Riuscirà la guerra dove non poterono né la grande crisi finanziaria né la grande crisi dei debiti sovrani, ma solo in parte il nuovo ’29 mondiale da effetto Covid? Farà l’Europa debito comune per affrontare la grande questione energetica che per l’Italia significa filiere produttive e sistema agro-alimentare in bilico? Sullo scacchiere globale Francia, Germania, Italia, Inghilterra, Canada rimarranno pur nella diversità la diga dell’Occidente che affianca quella americana nei rapporti con l’Oriente? Terranno la posizione gli svizzeri con i russi fuori dalla Banca dei regolamenti (Bri) e dal Financial Stability board?

Se continuiamo per un po’ in questo modo l’incrocio tra guerra sul campo, guerra di comunicazione e guerra finanziaria produce per il mondo un rischio effettivo che in mezzo e alla fine i mercati siano meno aperti di come sono stati negli ultimi dieci anni e che la cooperazione internazionale che ha retto anche al Covid paghi a scoppio ritardato, con la guerra, tutto ciò che è stato causato da lunghe chiusure geografiche con il mondo russo e cinese che si è isolato sempre di più. Perché senza rapporti personali e senza rapporti di stima e di fiducia, il mondo autocrate e quello libero si richiudono in se stessi. Sarà necessario ricostruire tutto un sistema nuovo di equilibri. Se si usa l’arma politica del petrolio per poco tempo passi, ma se il conflitto dura a lungo allora il quadro oggettivamente cambia.

Non si può più accettare che nel mondo autarchico ci siano la ferocia della guerra criminale e la solidarietà economica e nel mondo occidentale viceversa il comando americano senza le solidarietà americane e europee. Biden si sforzi di capire come fare a salvare la faccia a Kiev e Mosca e si faccia guidare dalla voglia di chiudere la guerra, non di sconfiggere la Russia. Putin deve capire che questa guerra è pesante e lascerà un odio che dura mezzo secolo e che a lui conviene ora, non domani, fare qualche concessione. Zelenski deve rendersi conto che il mondo occidentale è con lui e che la resistenza ucraina è stata una cosa importante, ma che la sua priorità assoluta oggi è salvare vite umane oltre la libertà dei suoi territori.

L’Europa deve capire che la manifattura tedesca e italiana non possono andare a gambe all’aria perché gli americani vogliono cancellare la Russia che, di suo, peraltro è già allo stremo economico. Perché è vero che se tagliamo il gas russo Mosca perde 200 miliardi di entrate valutarie e deve alzare anche formalmente bandiera bianca, ma nel frattempo collassano senza possibilità di ripresa l’economia italiana e quella tedesca. È vero che l’Italia per colpe sue del passato è il Paese europeo che paga il conto più alto, ma proprio per questo l’Europa che ha dimostrato di averlo capito una volta, con Next Generation Eu, deve ripetersi con nuovo debito comune per sventare gli effetti collaterali della guerra in Ucraina. Perché un Paese trasformatore, come l’Italia, non può competere nel mondo pagando il petrolio quattro volte di più dell’India. Per l’Europa non esistono alternative soprattutto se non riesce a chiudere la guerra entro un tempo ragionevole.


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