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Mario Draghi durante la conferenza stampa di chiusura del G20

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Il nuovo giro del mondo inizia con una regia italiana che guida un processo dove Stati Uniti e Cina sempre in guerra tra di loro, una Russia che esce da sette anni di stagnazione e un’Europa che prova a ritrovarsi accettano tutti insieme il metodo nuovo del multilateralismo e condividono questo processo che conduce a un nuovo modello economico globale. Passi concreti in avanti che ci raccontano che la storia è cambiata e chi non la riconosce si colloca fuori dalla storia e, quindi, perde in partenza. Non sappiamo dove ci porterà questo viaggio verso le energie rinnovabili, ma il viaggio è iniziato ed è fortemente aumentata la consapevolezza che se si riprende a lottare o a litigare non si va da nessuna parte. È iniziato il viaggio verso il nuovo ordine mondiale

Il multilateralismo di Roma. Questo rimarrà nei libri di storia. Rendiamo merito allo statista Mario Draghi. Dietro di lui ci sono i numeri della crescita da miracolo economico del prodotto interno lordo italiano. Stampato sulla carta di identità c’è il primato nella campagna di vaccinazione che è la base della rinascita dell’Italia. Sono i fatti di un Paese che è tra quelli che vaccinano e crescono di più nel mondo e che consentono di delineare un nuovo modello di economia al passo con i tempi nuovi del multilateralismo. Sono fatti che appartengono alla politica che fa le cose e che i cittadini cominciano a riconoscere. Sono fatti che restituiscono il bene prezioso della credibilità da spendere sullo scacchiere globale.

Il presidente del G20, Mario Draghi, ha ricomposto un gruppo di persone che riprendono a parlarsi e decidono tutte insieme sui grandi beni pubblici che esprimono i grandi problemi del mondo – clima, sanità, povertà – perché nessuno può più nemmeno pensare di risolvere nulla da solo. L’Italia tornata credibile è il Paese che ristabilisce l’idea del multilateralismo come spartiacque rispetto al passato. Questo multilateralismo di cui siamo i referenti riprende e afferma un metodo di lavoro che dà forza alle Nazioni unite, all’Europa e a tutte le istituzioni internazionali che erano arrivate a fine corsa della lunga stagione del “Washington consensus” che è il vangelo economico imposto dalle istituzioni di Bretton Woods ai Paesi debitori. Quello per cui si riteneva che finita la divisione in due blocchi i problemi del mondo aperto si risolvevano riducendo il ruolo dello stato e facendo funzionare bene solo il mercato. Quel giro è finito per sempre.

Il nuovo giro del mondo inizia con una regia italiana che guida un processo dove Stati Uniti e Cina da tempo ripiegati al loro interno e sempre in guerra tra di loro, una Russia che esce da sette anni di stagnazione e un’Europa che prova a ritrovarsi su un progetto più ambizioso, accettano tutti insieme il metodo nuovo del multilateralismo e condividono come ineludibile questo processo che conduce a un nuovo modello economico globale. Soprattutto dimostrano di condividere ambizioni. La differenza nel dialogo tra i Grandi e tra i Grandi e i piccoli la ha fatta proprio la capacità di ascolto a 360 gradi della presidenza italiana del G20 che è espressione della grande politica quando ha le idee chiare sulla rotta da perseguire.

Questo è quello che è accaduto a Roma dove un Paese tornato normale organizza tutto alla perfezione e diventa palcoscenico, tra un bilaterale e l’altro, del cambiamento possibile del mondo. Nelle condizioni date bisogna dire senza se e senza ma che il G20 di Roma è un successo. Lo è perché c’è una minimum tax globale che prima non c’era. Perché sulle campagne di vaccinazione il mondo si impegna a raggiungere il 70% di copertura che significa che i ricchi aiuteranno i poveri. Perché gli Stati Uniti eliminano i dazi all’acciaio europeo voluti da Trump e questo restituisce all’Organizzazione mondiale del commercio il ruolo che gli compete e che ancora di più dovrà crescere e qualificarsi. Perché un grado e mezzo di riscaldamento è un punto fermo degli impegni che tutti devono rispettare per evitare che il surriscaldamento della terra produca la catastrofe. Perché tutti si sono impegnati a accelerare sulla strada della decarbonizzazione e l’impegno dei Paesi ricchi a farsi carico di aiutare i Paesi poveri è il primo frutto di un linguaggio nuovo che è figlio di un lavoro italiano di ascolto che è durato un anno intero. Perché ci sono impegni finanziari che arrivano a 82/83 miliardi subito esigibili dei cento previsti di modo che questo nuovo linguaggio comune si possa tradurre in fatti.

La presa di coscienza collettiva rende possibile affiancare alla leva pubblica una leva privata di cento e passa trilioni di dollari per accompagnare la transizione ecologica e rispettare la tabella di marcia di emissioni zero che è oggi messa finalmente per iscritto e più spostata verso il 2050.

C’è ora una sostanza sulla quale Cop26 può patrimonializzare al meglio il lavoro italiano di un anno e quello prezioso che si farà nei prossimi giorni. Sono tutti passi concreti in avanti che ci raccontano che la storia è cambiata e che chi non la riconosce si colloca fuori dalla storia e, quindi, perde in partenza.

Diciamocela tutta. Nelle parole di Mario Draghi si percepisce l’inizio di un viaggio nuovo: abbiamo visto dei Paesi che pensavamo riluttanti a muoversi sul multilateralismo e che invece hanno continuato a muoversi. L’uomo che ha salvato l’euro racconta “questa sorte di mentalità comune” e si capisce ora bene quello che ripetiamo da un po’ e, cioè, che c’è stato un cambiamento perché tutti hanno finalmente capito che su clima, sanità, povertà senza multilateralismo non si va da nessuna parte. Tutti hanno capito che sui beni pubblici si può lavorare solo insieme. Che le regole vanno cambiate e che l’unico modo per cambiarle è farlo insieme. Ci aspetta una transizione lunga e difficile e abbiamo fatto un passo in avanti. Non sappiamo dove ci porterà questo viaggio verso le energie rinnovabili, ma il viaggio è iniziato ed è fortemente aumentata la consapevolezza che se si riprende a lottare o a litigare non si va da nessuna parte. Il viaggio verso il nuovo ordine mondiale che dovrà fare i conti con tensioni in tutti i quadranti della terra è iniziato. Il viaggio che dovrà condurre a una riforma profonda dell’Organizzazione mondiale del commercio e che dovrà revisionare e qualificare i ruoli di Banca mondiale e Fondo monetario internazionale è iniziato.

Permetteteci di dire che questo viaggio è partito da Roma perché l’Italia – ritornata credibile – ha fatto quello che nessuno aveva fatto prima. Ha cercato di capire gli altri e i loro punti di vista, anche quelli altrui, cosa che per i Grandi è molto difficile perché significa sentirsi dire dai Paesi in via di sviluppo “voi ricchi avete inquinato tanto e noi ci troviamo in queste condizioni per colpa vostra”. Questo è stato il ruolo dell’Italia e questo ha fatto la differenza e “non una grande differenza” ha detto Draghi così come ha detto di non essere lui il leader del multilateralismo.

Quella differenza a nostro avviso è esattamente ciò che consente di passare dai secoli del carbone e dell’acciaio al secolo delle nuove fonti energetiche che è quello del futuro. Sulla leadership del multilateralismo come di qualsiasi campo i veri leader dicono sempre di non esserlo perché la leadership viene dal riconoscimento degli altri e non dalle auto affermazioni. A noi piace dire che per una volta tutte le strade del nuovo multilateralismo non portano a Roma ma partono da Roma e che i riconoscimenti del mondo sul successo di questo G20 raccontano la storia di una leadership politica con la P maiuscola che sa guardare lontano con i piedi ben piantati per terra.

Più o meno è quello che era già successo con l’euro. Tutti si riempiono la bocca di quelle tre parole, whatever it takes, costi quel che costi, pronunciate da Draghi nel luglio del 2012 davanti alla comunità finanziaria londinese senza spiegarle e collocarle come si dovrebbe. La storia vera è che allora si sono fatte le cose che si dovevano fare, ma non si sarebbe fatto niente se lui non avesse gestito politicamente quelle cose. Perché Draghi era un (grande) politico allora e lo è oggi.


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