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Giorgia Meloni

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Su di essa si gioca la partita cruciale dell’Europa “promessa di pace” e motore di investimenti pubblici comuni che evitano la recessione. È la partita cruciale della Meloni. Che dovrebbe intestarsi la battaglia keynesiana del bilancio europeo per competere con Stati Uniti e Cina, ma è costretta a parlare di Albania, di una legge di bilancio che sposta poco, e di premierato da perseguire anche a colpi di referendum. Se chi governa e opposizioni affrontano le europee buttando il cerino nell’agone politico italiano si incendia perché è già un lago di benzina. Si brucia la credibilità italiana in Europa e si riduce la leadership politica del Vecchio Continente.

Sulla statura internazionale dell’Italia si gioca la partita cruciale per tutti dell’Europa “promessa di pace”. Per evocare il discorso pronunciato ieri a Napoli dal Capo dello Stato, Sergio Mattarella, in occasione degli 800 anni dell’Università Federico II. Qualcosa di molto profondo che scuote le coscienze perché mette insieme il peso della storia e il talento di domani, la sfida innovativa del polo di Scampia dove “la violenza, per usare le parole di Benedetto Croce, non è forza, ma è debolezza. E, come diceva, non costruisce, ma distrugge. Soltanto la cultura costruisce”. Tutto ciò è il segno più importante del messaggio di Mattarella. Racconta la forza straordinaria di Napoli capitale del mondo capovolto come motore di pace e di sviluppo. La volontà di crederci e la volontà di esserlo. Avendo la storia e la geografia che combattono a suo favore.

Qualcosa di molto profondo in termini geopolitici e economici perché misura l’abisso che separa dalla nostra politichetta quotidiana la grande politica europeista e meridionalista che nasce con De Gasperi e arriva a Mattarella “in una stagione in cui le guerre riprendono a insanguinare l’Europa orientale, il Mediterraneo e altre zone”. Questa politica con la P maiuscola ha l’intelligenza di “ricordare questi valori” che appartengono alla storia e “l’immenso valore di queste scelte” proprio perché “le università sono state alla base di quel sistema di valori che ha condotto all’integrazione europea e al messaggio di pace che si erano scambiati i popoli europei”.

Mattarella ha indicato ieri da statista la strada obbligata per tutelare il valore di “Europa come rispetto e promessa di pace”. Capite quanto sono lontani questo linguaggio e questi valori dalla miseria in cui si svolge rumorosamente il dibattito politico italiano? Abbiamo un’Europa sull’orlo della recessione e dovremmo esprimere una classe dirigente politica europea che si muova nel solco riconosciuto dell’autorevolezza internazionale di Draghi e delle sue intuizioni che mettono insieme cultura istituzionale e di mercato, visione globale e capacità di governo che lo hanno consegnato tutte insieme alla storia del mondo. Perché ha salvato l’euro dalla sua rottura data per inevitabile e ha esercitato una supplenza politica che ha tenuto in vita il progetto europeo rimanendo nell’ambito delle sue funzioni di banchiere centrale.

Dimenticate per un attimo De Gasperi, Mattarella e Draghi. Vi troverete alle prese con un modesto dibattito interno che invece di misurarsi con spirito keynesiano e bilancio europeo nella sfida degli investimenti pubblici comuni per competere alla pari con Stati Uniti e Cina, parla di Albania, di una legge di bilancio che non fa danni ma sposta poco o nulla, e di premierato da perseguire se necessario a colpi di referendum.

Con le file della maggioranza divise ma pubblicamente ricomposte e quelle dell’opposizione che si ritrovano nella piazza del nulla perdendo la storica occasione di dire la loro e contare in casa e in Europa.

Sono tutti matti, di qua e di là, perché chiunque vinca manda di fatto in macerie il Paese abbattendone la statura internazionale faticosamente conquistata. Di certo non la fanno crescere perché i problemi sollevati sono a portata di mano e si percepisce che la gente pensa che chi governa il Paese e chi fa opposizione non cercano l’intesa, ma perseguono la politica del colpo di mano. Serve almeno qualcuno che spieghi alla Meloni che lei è riuscita fin dove è riuscita perché ha rifiutato la cultura del colpo di mano e che anche oggi i colpi di mano in politica non servono a niente tranne che a alimentare fumo e confusione. Che cosa conta per la Schlein avere portato in piazza cinquantamila persone? Niente di niente. A che cosa serve a Landini la manifestazione con la Uil prossima ventura? Nulla, alimenta il chiacchiericcio, non risolve i problemi.

Sono tutti fatti che non spostano di un centimetro la questione capitale italiana che è quella di contribuire a evitare la recessione europea. Sono tutte sceneggiate che rinviano il confronto con la crisi geopolitica ed economica in atto che è ciò che serve davvero all’Italia per tutelare la crescita possibile ed evitare l’acuirsi delle diseguaglianze. Per affrontare la crisi internazionale che cambia tutto, è evidente che non bastano le sceneggiate, ma che servono viceversa freddezza e capacità di non indulgere mai all’avanspettacolo per nessuna ragione al mondo.

Solo così si può assumere la leadership dell’Europa e vincere la partita decisiva della statura internazionale di un Paese che guida la nuova Europa. O, comunque, si mette nel gruppo di testa del cambiamento dell’Europa che, se vuole sopravvivere, ha un percorso obbligato comune di politica economica, estera e di difesa. Per Giorgia Meloni c’è anche una congiuntura favorevole. Non abbiamo intorno a noi la Francia di De Gaulle o la Germania di Adenauer. Macron era partito bene e si è indebolito per strada. Scholz è partito debole e si continua a indebolire.

Sanchez in Spagna ha mostrato capacità di reazione, ma non ha un governo e per farlo deve scendere a patti con la bandiera secessionista della Catalogna che non vuole pagare i suoi conti con la storia. Giorgia Meloni ha anche la fortuna aggiuntiva di essere alla guida di quello che è ancora considerato nel mondo il Paese di Draghi e questo alimenta credito e speranza verso Palazzo Chigi.

La partita che deve vincere la nostra premier oggi è quella della statura internazionale dell’Italia in una fase delicatissima. Che deve evitare la trappola delle elezioni europee con il suo fuoco solo apparentemente di paglia delle polemiche quotidiane. Sono fatti ovviamente molto differenti, nemmeno lontanamente comparabili, ma la morale è la stessa. Nell’orrore della sua mente terroristica Hamas con l’attacco a Israele, lo sterminio di donne, uomini, bambini e la barbarie degli ostaggi civili, avrà follemente pensato di riuscire ad appiccare l’incendio, ma di poterlo poi spegnere.

Non è così. Su un piano totalmente diverso, è bene che chi governa e anche chi fa opposizione in Italia, si renda almeno conto che non si possono affrontare le elezioni europee con la cultura del cerino da buttare ogni giorno nell’agone politico italiano. Perché è già un lago di benzina e si incendia tutto. Ovviamente le fiamme brucerebbero ogni credibilità italiana in Europa e ridurrebbero ulteriormente la leadership politica complessiva del Vecchio Continente. Anche la Cina più in difficoltà da sempre di oggi e l’America al minimo di carisma delle sue leadership politiche avrebbero gioco facile, sul piano economico, a dividersi il controllo del mercato unico più ricco al mondo che resta quello europeo. Non conviene a nessuno. All’Italia in modo particolare.


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