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C’è voglia di ripresa per l’agroalimentare italiano. Negli stand del Cibus, il salone dell’alimentazione che chiude i battenti domani e in quelli del Macfrut che si è inaugurato ieri, si registrano sprazzi di ottimismo. Il sostegno per le imprese arriva dall’export che continua a mettere a segno ottimi risultati. Per l’agroalimentare nel suo complesso la crescita del 2021, che ha portato al record di 52 miliardi, è proseguita nei primi mesi dell’anno e per l’ortofrutta, in particolare, con quasi 5,6 miliardi, l’aumento è stato dell’8%. Ma questa è solo una faccia della medaglia. La guerra continua e i problemi si acuiscono ogni giorno di più. E se qualche voce tende a sminuire l’impatto diretto del conflitto sulla filiera del cibo italiana, va però ricordato che i mercati mondiali sono dei vasi comunicanti e il vuoto che si crea, anche dall’altra parte dell’emisfero, impatta sui nostri sistemi.

Ma è soprattutto quello che succede nelle aree più povere del mondo che preoccupa perché non potrà non avere effetti nell’Unione europea. Anche in termini di flussi migratori.

E’ devastante la foto rilasciata ieri dal rapporto annuale del Global Network Against Food Crisis (Gnafc), un’alleanza internazionale di Nazioni Unite, Unione Europea, agenzie governative e non governative che lavorano insieme per affrontare le crisi alimentari. Il verdetto è secco: aumenta a ritmo allarmante il numero di persone in stato di insicurezza acuta alimentare e che hanno bisogno di aiuti per sopravvivere. La cifra si avvicina ai 200 milioni.

Secondo il documento nel 2021 oltre 193 milioni di persone in 53 Paesi erano in grave difficoltà, 40 milioni in più rispetto al 2020 quando già si era raggiunto un livello record. Per oltre mezzo milione, dall’Etiopia al Madagascar al Sudan, è stato dichiarato lo stato di “catastrofe acuta”. A causare queste profonde crisi alimentari sono state le guerre, ma anche emergenze ambientali, climatiche, economiche e sanitarie. E questa situazione è stata rilevata prima che esplodesse il conflitto che sta dilaniando l’Ucraina. E ora dunque in questi Paesi fortemente dipendenti dalle importazioni dai territori coinvolti nel conflitto europeo e dagli shock globali dei prezzi si rischia la catastrofe umanitaria. La commissaria per i partenariati internazionali, Jutta Urpilainen, ha parlato della «più grande crisi alimentare della storia» e di uno «sconvolgimento sociale, economico e politico che potrebbe seguire». «Il tragico legame tra conflitto e insicurezza alimentare – ha dichiarato il direttore generale della Fao, Qu Dongyu – è ancora una volta evidente e allarmante». Un appello dunque a fornire assistenza umanitaria e la richiesta di nuovi finanziamenti per rafforzare la produzione agricola. Secondo la Fao il 60/80% delle persone in grave insicurezza alimentare é costituito da agricoltori che per sopravvivere dipendono esclusivamente dalle attività legate alla terra.

Che ne sarà dunque di queste popolazioni mentre il barometro volge sempre più al peggio? Ieri si registravano nuovi aumenti dei prezzi mondiali di grano, mais e soia. Non solo la distruzione dei campi di cereali, ma anche le razzie sui territori occupati dell’Ucraina con il furto denunciato di oltre 400mila tonnellate di grano – ha sottolineato la Coldiretti – stanno riducendo le scorte e aggravano il rischio fame con un effetto domino su Paesi già sull’orlo della carestia. L’impennata dei listini è già costata, secondo l’organizzazione agricola, 100 miliardi a livello globale.

Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, nel suo intervento al Parlamento europeo di due giorni fa aveva lanciato l’allarme ricordando come «molti Paesi soprattutto dell’Africa e del Medio oriente siano più vulnerabili e potrebbero vivere periodi di instabilità politica e sociale». Draghi aveva anche fatto esplicito riferimento all’effetto instabilità nel funzionamento delle catene di approvvigionamento globali e alla volatilità del prezzo delle materie prime e dell’energia causati dal conflitto.

L’Ucraina è infatti il quarto maggiore fornitore estero di cibo nell’Ue, inviando circa metà delle importazioni di granoturco e un quarto degli olii vegetali. A marzo, aveva sottolineato Draghi, i listini dei cereali e delle principali derrate alimentari hanno toccato i massimi storici.

Da qui dunque il «forte rischio» segnalato dal premier che «l’aumento dei prezzi, insieme alla minore disponibilità di fertilizzanti, produca crisi alimentari». Un report sull’interscambio dell’Unione europea ha confermato il ruolo chiave di Kiev. Prima del conflitto – questi i dati della Commissione – le importazioni Ue dall’Ucraina erano cresciute dell’88% in un anno al traino dei cereali (+136%). Un’emergenza mondiale che riguarda direttamente il nostro Paese deficitario di molte materie prime a partire dai fertilizzanti basilari per le coltivazioni. Il governo sta dimostrando grande sensibilità e anche con il recente decreto Aiuti ha tenuto conto della strategicità delle filiere agroalimentari.

«Il via libera a fondi per 180 milioni per l’accesso delle imprese agricole alle garanzie Ismea sui mutui – ha commentato il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini – è importante per salvare il Made in Italy a tavola in un momento tanto drammatico per i rincari e gli effetti della guerra». Così come è importante la misura del governo finalizzata a incrementare la produzione di energia con il fotovoltaico sollecitata da tempo dall’organizzazione. Ma si deve muovere anche Bruxelles. Per l’europarlamentare Paolo De Castro è necessario un approccio meno punitivo nei confronti dell’agricoltura, mantenendone gli standard di qualità e sicurezza, e puntando a «dare continuità e autonomia alla produzione agricola europea, contribuendo all’obiettivo della sicurezza alimentare, come sottolineato dal presidente Draghi».


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