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“La democrazia si nutre di tolleranza, pazienza, confronto e rispetto”. A sottolinearlo, in occasione dell’anniversario della morte di Aldo Moro, che è diventato il “Giorno della Memoria” per le vittime del terrorismo, è stato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il Capo dello Stato ha osservato come quella della tolleranza e del rispetto possa “sembrare a taluno una strada lunga e faticosa”, ma che in realtà “è l’unica di progresso della convivenza”, “l’unica capace di ottenere e mantenere nel tempo pace, serenità, benessere e diritti a tutti i cittadini”, perché “l’odio e la violenza – assicura – costituiscono il percorso dei regimi autoritari e rappresentano il fallimento dell’umanità”.

Mattarella parla di ieri, degli anni di piombo, ma il suo monito sembra avere un radicamento ben saldo anche nell’oggi. Sembra voler indicare la direzione, in un momento di forte contrapposizione politica, per evitare gli errori del passato. Un monito anche alla politica di oggi che il Capo dello Stato rafforza ricordando come la Repubblica abbia saputo produrre “i suoi anticorpi, ben sapendo che un clima di scontro violento, parole d’odio, l’avversario trasformato in nemico da abbattere, costituiscono modalità patologiche della contesa politica che, oggi come allora, vanno condannate e respinte con decisione”.

Mattarella lo ha spiegato davanti alle più alte cariche dello Stato, dalla premier Giorgia Meloni, al presidente del Senato Ignazio La Russa, al vicepresidente della Camera Giorgio Mulè, ai ministri degli Esteri Antonio Tajani a quello della Giustizia Carlo Nordio. Solo per citarne alcuni.

Ma il Capo dello Stato si è rivolto anche ai familiari delle vittime, quelle di cui in tutti questi anni, si è parlato “troppo poco” rispetto a quanto si è scritto e discusso dei terroristi. E lui vuole ricordarle tutte: dall’agente Antonio Marino a Stefano e Virgilio Mattei, a Paolo Di Nella, citando anche i nomi meno noti, parlando del “dolore indicibile” provato dai parenti e spiegando come le vittime di quegli anni siano “una cifra impressionante”, 400 solo per il terrorismo interno, alle quali vanno aggiunte quelle “per il più recente fenomeno del terrorismo internazionale”.

E sono loro, le vittime, incalza Mattarella, e “non i terroristi, a fare la storia italiana. A scriverne la parte decisiva e più salda. A esprimere l’autentico animo della nostra società e non la sua patologia. A costituire un patrimonio collettivo di memoria e di esempio per tutte le generazioni”. Una memoria che va custodita tentando di arrivare alla verità. “La ricorrenza di questo giorno – sostiene Valter Mainetti Presidente della Fondazione Sorgente Group- deve accompagnarsi ad una profonda riflessione su quel periodo della nostra storia oltre che sulla sofferenza vissuta da un uomo giusto ed onesto. Io ero molto legato al Presidente, così come eravamo soliti chiamarlo noi studenti della Facoltà di Scienze Politiche e quel senso di rispetto e stima profonda era provato da tutti noi. La sua uccisione resta ai miei occhi inspiegabile, tutti noi aspettavamo la sua liberazione e personalmente avevo creduto veramente che sarebbe avvenuta. Più volte ho riletto le sue lettere assolutamente sincere e cariche di consapevolezza su quello che sarebbe successo e penso che il Presidente fu vittima dell’essere stato un precursore dei tempi per la volontà ferma di realizzare il Compromesso Storico che avrebbe eliminato il bipartitismo imperfetto di quell’epoca”.

Anche il Capo dello Stato Sergio Sergio Mattarella analizzando la figura dello statista Dc, ha definito Aldo Moro “un uomo pervaso dall’amore e dal rispetto per la democrazia e per lo Stato, animato da spirito di libertà e di solidarietà” ed ha chiesto che finalmente si arrivi alla verità soprattutto sulle “gravi deviazioni compiute da elementi dello Stato”. Perché in Italia ci sono stati “troppi episodi di sangue che hanno ferito una giovane Repubblica”. Ci sono state stragi “talvolta compiute con la complicità di uomini da cui lo Stato e i cittadini avrebbero dovuto ricevere difesa” e c’è stata “la violenza politica, tra giovani di opposte fazioni che respiravano l’aria avvelenata di uno scontro ideologico”. Una guerra che lo Stato, incalza Mattarella, vinse “sul terreno della legalità costituzionale senza mai cedere alle sirene di chi proponeva soluzioni drastiche, da regime autoritario”. Una guerra vinta dal popolo italiano che, “memore dei disastri della guerra, ha rifiutato con decisione l’uso della violenza come arma per la lotta politica”. Un monito da non dimenticare mai anche nell’Italia di oggi.


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