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Christine Lagarde

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«Dobbiamo evitare gli errori commessi dopo la crisi del 2008: la crisi energetica non deve produrre un ritorno del populismo. Abbiamo gli strumenti per farlo: dobbiamo mitigare l’impatto dell’aumento dei prezzi dell’energia, compensare le famiglie e le imprese in difficoltà, tassare le aziende che fanno profitti straordinari».  Sono parole di Mario Draghi in occasione della riunione del G7 in Baviera.

Eppure, è trascorso poco più di un anno da quando Mario Draghi, durante di un incontro informale con i giornalisti prima della pausa estiva (che poi non fu tale), si azzardò a dichiarare: “Le cose per l’economia italiana vanno bene e si spera vadano ancora meglio. Perché continuino ad andar meglio però, voglio lanciare chiaramente un messaggio a tutti noi e a tutti gli italiani: vaccinatevi e rispettate le regole’’.

Poche settimane dopo ebbe inizio una delle campagne più assurde della storia contemporanea: la guerra al green pass e il tormentone di come trattare, alla ripresa del lavoro nelle aziende, i renitenti alla vaccinazione. A dar fuoco alle micce, passando da una Festa dell’Unità ad un’altra, fu il segretario della Cgil, Maurizio Landini, che schierò la sua organizzazione a favore di una vaccinazione persino obbligatoria, ma giudicava discriminatorio il passepartout della documentazione sanitaria per poter accedere al lavoro.

Il Paese ha trascorso l’autunno e l’inverno a seguire le competizioni via talk show tra pro vax e una moltitudine agguerrita di non vax (con la sottospecie dei no pass) mentre si celebravano, con riferimento al 2021, i fasti di una ripresa al di sopra delle aspettative più ottimistiche. Ma qualche scricchiolio, un orecchio attento lo avrebbe avvertito anche allora. Ricordo un’intervista di Nunzia Penelope ad un imprenditore italiano, tra i più importanti del Veneto/locomotiva d’Italia: Alessandro Riello.

«Guardi, manca tutto. Mancano perfino carta e cartone. Abbiamo dovuto abbassare la produzione del 40% perché non si trova il cartone per l’imballaggio del prodotto. Abbiamo due linee di produzione che vanno solo al 50% perché non arrivano i ventilatori dalla Germania. Ho ventimila motori fermi – continuava l’imprenditore – perché mancano i condensatori che devono arrivare dalla Cina. Non troviamo le schede elettroniche necessarie per completare alcuni prodotti, per cui ne usiamo una come “muletto” per provare se un pezzo funziona, poi la smontiamo, la rimontiamo su un altro pezzo, e così via, sperando che arrivi un carico di schede che ci consenta di completare la produzione. Questo ci causa una perdita di efficienza mostruosa».

«E non è finita: non riusciamo a spedire le merci – aggiungeva Riello – perché non ci sono navi. Una grossa parte della flotta mondiale è ferma perché si tratta di navi che bruciano carburanti molto inquinanti – e non più a termini di legge – per la maggior parte degli scali portuali. Non parlo nemmeno dei container: non è più nemmeno un problema di prezzi, pure a volerli pagare a peso d’oro non se ne trovano. Sinceramente: faccio l’imprenditore da alcuni decenni, ma non mi sono mai trovato in una situazione del genere».

Già nell’autunno scorso si assistette all’impennata dei prezzi dell’energia e delle materie prima. Persisteva il dubbio che si trattasse di una fase di assestamento dopo il disordine provocato dalla pandemia nel commercio internazionale e la rincorsa agli approvvigionamenti per garantire la ripartenza sullo scenario internazionale. Con l’aggressione dell’Ucraina e le sue conseguenze sul piano delle forniture energetiche e alimentari oltreché con la crisi delle relazioni internazionali che ne è derivata e che pesa sulla possibilità di fare programmi a lunga scadenza. Nei prossimi mesi – dopo una estate torrida, con un turismo in ripresa ma funestato dalla scomparsa dei camerieri e dei cuochi dalle strutture alberghiere – ci attendono le altre sei piaghe: la prima, quella dell’invasione delle locuste, l’abbiamo già messa in conto.

La seconda, la siccità, è in atto. Il covid-19 – che può rappresentare una moderna forma di pestilenza – è tuttora tra noi con varianti sempre nuove e intasa i presidi sanitari. I vaccini hanno fatto il loro dovere nel contenere la violenza dei sintomi, ma la vera misura che ha contato di più è stata quella di derubricare il tema nei palinsesti televisivi, a conferma che i fatti e gli eventi, anche i più crudeli, esistono per l’opinione pubblica solo se se ne parla in televisione. Ma qual è il principale pericolo che ci attende in autunno? Si tratta della risultante di tutti i processi negativi indicati: si chiama inflazione.

Può essere, infatti, come affermano le autorità, che la ricerca di nuove fonti di approvvigionamento dell’energia abbia avuto un relativo successo e che non ci sia il rischio di passare l’inverno al freddo; ma i costi sono destinati a rimanere elevati per una banale logica di mercato, perché l’offerta – per tanti motivi, anche speculativi – è inferiore alla domanda. In pochi mesi il tasso di inflazione è risalito ai livelli di una quarantina di anni fa. E si appresta, non solo, a devastare i redditi, ma ad imporre terapie – necessarie anche se da usare con cautela – che contrastano con l’allegra politica monetaria a cui ci siamo abituati.

La Bce ha già mandato segnali di allarme: diventerà sempre più difficile conciliare una politica di ristori a pioggia con la difesa delle finanze pubbliche, nel momento in cui il debito “cattivo’’ scaccia quello “buono’’. Una situazione come quella che si annuncia, per non esplodere, deve essere governata, non solo dalle istituzioni pubbliche, ma anche dalle forze politiche e dai grandi soggetti sociali. Ed è ciò che manca in Italia in vista delle scadenze elettorali.

Il populismo è come il covid-19. E Draghi è consapevole di non aver sbaragliato nessuna di queste due infezioni. Il populismo, nella sua essenza, consiste nel fornire risposte semplici a problemi complessi. L’inflazione taglieggia le retribuzioni? C’è la soluzione di Maurizio Landini: si chiedono aumenti salariali al netto. Ma c’è il pericolo della rincorsa salari/inflazione i cui effetti sono stati avvertiti nella storia recente del Paese? E chi se ne frega! Basta tassare i più ricchi, imporre patrimoniali, rinchiudersi nel bunker delle tutele accada quel che accada intorno.

Vi sono alcune iniziative recenti che vanno attentamente osservate. L’incontro promosso dalla Cgil all’Acquario Romano venerdì scorso con tutti i partiti di sinistra, con un’aspirazione mélenchoniana gestita da Landini; le tentazioni di Giuseppe Conte di intestarsi la leadership di un movimento pacifista, come lo ha incoraggiato a fare Michele Santoro, il quale – in qualità di guru e alla testa della sua Corte dei miracoli – avrebbe molto da insegnare a Beppe Grillo. Poi c’è l’incognita dei no vax che ogni tanto mandano segni di vita sui muri delle sedi della Cgil, ma che sono sempre pronti con uomini e mezzi a scendere in campo contro “il sistema’’.

Dal canto suo Draghi non ha dato una buona impressione nell’ abbandonare un vertice internazionale per rientrare in patria allo scopo di rabbonire – come si è detto – Giuseppe Conte. Almeno Silvio Berlusconi si faceva richiamare da Angela Merkel perché, durante una riunione internazionale, si era fermato a telefonare a qualche nipote di Mubarak.


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