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Nicola Zingaretti

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La sinistra domina la destra a prescindere dalla realtà. La destra amministra in quindici regioni su venti, governa il nord – in Veneto, specificatamente – con punte di consenso mai viste nell’Italia repubblicana; perfino in Val d’Aosta, la ventunesima delle giunte amministrative, la Lega è il primo partito eppure la destra che elettoralmente è sempre in vantaggio, sempre più radicata nella maggioranza silenziosa degli italiani, politicamente è pesantemente sconfitta.

Anche in due suppletive, una in Sardegna, un’altra a Verona, Fratelli d’Italia e loro alleati hanno sbaragliato il Pd e il M5S ed è una beffa tutto questo dilagare di seggi e consensi quando oltretutto due campioni della recente tornata elettorale, ovvero Vincenzo De Luca e Michele Emiliano, la loro riconferma sotto le bandiere del centrosinistra – rispettivamente in Campania e in Puglia – se la sono guadagnata praticando un’infinità di cose di destra altrimenti impossibili alla stessa destra.

Nessuno dei due – in ogni modo – è riconducibile al Pd dei Nicola Zingaretti che il proprio rituale, tutto di apparato, di potere e di truppe cammellate l’ha potuto mobilitare in Toscana. Non certo un voto da galoppini è quello in Campania dove il primo, De Luca – alla testa dei carabinieri, impugnando il lanciafiamme – ha vinto nel segno di Legge e Ordine. E non per le indicazioni de La Repubblica, il secondo, è riuscito a fronteggiare l’assalto di Raffaele Fitto. Reclamando la continuità con Pinuccio Tatarella, quel monumento d’intelligenza politica che seppe traghettare il Msi nell’area del governo, al grido di “vota la persona!”, Emiliano ha incassato la fiducia del più trasversale e pragmatico magma meridiano. Uno che ne sa, e cioè Roberto Maroni, ex presidente della regione Lombardia, commentando i risultati della Puglia l’ha subito detto: “Lo conosco bene, Emiliano, applica il metodo Tatarella che ha ben studiato.”

Non è un dettaglio da poco che Matteo Salvini, prima di affrontare i microfoni, si sia chiuso in una stanza con Roberto Calderoli e con Giancarlo Giorgetti. Un cosa è la propaganda, un’altra è la politica, i due strateghi l’avranno preparato ad affrontare la sconfitta “percepita” ma un’altra cosa ancora è il potere.

La destra che avrà tutto in termini di proposta, sentimento e partecipazione emozionale brancola nella nebbia dell’irrilevanza non riuscendo a darsi, nella coalizione del centrodestra, finalmente un federatore, come nella storia recente sono stati certi irregolari. Da Bettino Craxi, il socialista tricolore che per primo volle sdoganare la destra nazionale, a Francesco Cossiga – il Picconatore – fino a Silvio Berlusconi, il cui tocco magico, oggi, lo aiuta a sconfiggere il Covid ma non a resuscitare quel che fu il suo “popolo delle libertà”.

Questa stessa destra, quella della mancata spallata a Giuseppe Conte, comunque annaspa nella sconfitta di appena ieri avendo mancato da sempre, già al tempo dell’epopea berlusconiana, l’appuntamento con il “potere”.

Il Pd che d’abitudine governa senza l’incomodo di vincerle le elezioni, dalla crisi del primo governo Conte, grazie a Salvini che ebbe ad aprire la crisi – quando si dice il paradosso – ha preso tutto e di più: stato, parastato, vertici dei servizi segreti, nomine, sub-nomine, Rai, commissioni di tecnici, task-force e Stati Generali.

Il Pd che in ogni sua squama coincide alle spire del deep state (dove s’innerva, beandosene di laute carriere, il sistema dell’informazione) si assicura pure l’intero svolgersi della legislatura – ormai destinata alla conclusione nel 2023 dopo la vittoria del Sì offertagli dal M5S – e così anche i giochi per l’elezione del futuro Capo dello Stato dove, manco a dirlo, con questi chiari di luna non si troverà un nuovo Cossiga, piuttosto il remake di un Oscar Luigi Scalfaro.

Non c’è legittimità sovrana in Italia al di fuori del “potere”, questo è il dato in punto di crudo cinismo.

La propaganda a noi, reclama la destra mentre la sinistra – la minoranza egemone – si appropria della politica. Alla destra, dunque, resta il territorio mentre la sinistra, nella stanza dei bottoni, domina il fortilizio del comando.

Furbi, loro – si dirà – ma proprio beati, sempre loro, cui va tanto di cappello. La destra, insomma, sa fare la propaganda. La sinistra, invece, gli mangia in testa. Sa fare la politica. Tanto di cappello. E il dramma vero della maggioranza silenziosa è tutto qui. 


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