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Mario Draghi

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HIC manebimus pessime. Finisce con questa variante della frase con cui gli eserciti romani prendevano possesso di nuovi territori l’ultima incauta sortita di Giuseppe Conte. Le agenzie riassumono così l’ulteriore atto di resa del M5S: «Nel documento in 9 punti presentato da Conte a Draghi solo vaghe enunciazioni di principio. “Restiamo al governo, ma con forte disagio politico”, si chiede discontinuità. Da Palazzo Chigi trapela ottimismo. E il governo pone la fiducia sul decreto Aiuti».

MAL DI PANCIA FUORI TEMPO MASSIMO

L’Arca del governo può continuare la sua navigazione fino alla prossima bufera. Anche se qualche “malpancista’’ dovesse bigiare il voto fiducia, il M5S – che secondo Draghi è una componente essenziale della maggioranza e del governo – rimane al suo posto.

Sistemato per ora il nodo dell’assistenza militare all’Ucraina, una volta convertito il decreto Aiuti, occorrerà chiudere il dossier del ddl Concorrenza, sciogliendo il grumo di proteste dei taxisti, poi il prossimo show down dovrebbe essere rimandato alla ripresa in vista della sessione di bilancio, quando i partiti saranno chiamati a fare i conti con una situazione economica più complessa (anche se non catastrofica come si vuole far credere) con un occhio ormai fisso sulle elezioni.

Qualcuno – in quel momento – potrebbe essere di nuovo tentato di far saltare il tavolo, ma in politica non è garantita una vittoria in zona Cesarini. Se qualche forza politica ha intenzione di intestarsi una posizione di rottura, lo faccia adesso o taccia fino alla scadenza della legislatura. E metta in conto di assumersi la responsabilità di un ricorso anticipato alle urne che non favorirebbe – per come sono sistemati al loro interno e nei rapporti con l’elettorato – i due partiti che hanno vinto le elezioni nel 2018.

Se in tanta confusione fossero possibili sprazzi di lucidità, a tutte le forze politiche, di maggioranze e opposizione, converrebbe attrezzare il campo di gioco per il 2023. In primo luogo esiste il problema della legge elettorale. Si andrà a votare con il Rosatellum o con una legge proporzionale con sbarramento? Nessuno ci fa caso, ma i nostri sistemi elettorali somigliano al vestito di Arlecchino: ogni istanza (Stato, Regioni, enti locali) si avvale di proprie regole, una diversa dall’altra.

LA VERGOGNA DELLE LEGGI ELETTORALI

Ma ciò che grida vendetta è il numero di leggi elettorali che sono state applicate per l’elezione del Parlamento nelle legislature della seconda Repubblica. Se ci guardiamo attorno, nei principali Paesi di solido ordinamento democratico, i sistemi elettorali sono gli stessi da decenni, a volte da secoli. Da noi ogni maggioranza ha cercato di lucrare promuovendo leggi ritenute convenienti alla propria parte, spesso incassando smentite clamorose. Non ci si può aspettare da questo quadro politico che ha amputato le Camere, un’alzata di ingegno e di responsabilità che lo induca a tracciare una rotta finalmente stabile attraverso una legge elettorale destinata a restare quella senza essere sottoposta ad adattamenti ad usum delphini dell’ultima ora.

Se si andasse a votare – a settembre o in primavera – con l’attuale sistema verrebbe congelata la naturale evoluzione del quadro politico emersa in questo scorcio di legislatura, nel senso che tornerebbero a formarsi due blocchi contrapposti, sostenuti da un unico motivo: contrastare l’uno la vittoria dell’altro e viceversa. Ma i soggetti costretti a mettersi insieme – tanto a destra quanto a sinistra – avrebbero ben poco in comune. Soprattutto a sinistra, il “campo largo” di Enrico Letta dovrebbe farsi carico, nell’area del maggioritario, dei cadaveri ambulanti (in senso politico) del M5S.

Ma anche per l’affollato pollaio centrista andare al voto con l’attuale legge significherebbe rinunciare alla proprie chance per andare a cercare ogni possibile e compatibile regime di coabitazione.

IL FUTURO DI DRAGHI

Per ultimo viene il caso Mario Draghi. In suo nome (e in sua assenza) viene prefigurata una nuova area politica che ne assuma l’agenda e la porti a cercare il suffragio degli elettori. Ma può un leader politico somigliare a quel personaggio di una celebre opera lirica (L’Arlesiana) a cui si fa in continuazione riferimento, anche se non compare mai sulla scena?

Infine, rimane l’Uomo del Colle, il quale, anche nell’ultimo passaggio complicato, ha esercitato, con paziente fermezza, la sua moral suasion (sia con Conte che con Draghi) per evitare il deragliamento del governo. Ma ha fatto anche capire che dopo questo governo c’è solo il voto. Non so posso permettermi di dare un suggerimento al capo dello Stato: al suo posto io non esiterei, al momento opportuno, a nominare Mario Draghi senatore a vita. Sarebbe non solo un atto di gratitudine del Paese nei confronti del premier, ma anche un modo per farlo sentire meno estraneo a un mondo della politica e delle istituzioni, al servizio del quale potrebbe ancora essere utile.


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