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Giuseppe Conte esce da Palazzo Chigi

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Come la mosca imprigionata nel bicchiere. Sembra questa la condizione del M5s, dopo il colloquio di ieri tra Giuseppe Conte e Mario Draghi. Con il Movimento che appare intrappolato nella prassi di governo, senza riuscire a trovare una via di fuga. Non può liberarsene come al suo interno molti vorrebbero. Ma continua a dibattersi senza esito alcuno. Fino all’esaurimento.

Quale sia il cosiddetto “disagio politico” dei grillini si capisce bene dal documento che l’ex premier consegna ieri mattina al suo successore. “Non si può nascondere che il processo politico e la collocazione nel governo hanno pesato sul nostro elettorato. Lo hanno sfibrato e anche eroso. Ma mai, e sottolineo mai, le ragioni di convenienza di parte e le valutazioni elettorali hanno offuscato in noi la priorità assoluta del bene dell’Italia”, si legge nel documento firmato da Giuseppe Conte. Il M5s era arrivato in parlamento dopo un incredibile exploit con un nutrito gruppo di eletti.

Ha fatto fatica a reggere alle diverse prove di governo. Ma quella che più di ogni altra lo sta segnando è proprio l’esperienza dell’unità nazionale, con il sostegno al premier che è in assoluto il più distante dalla filosofia ribellista e populista del movimento delle origini. Mentre si avvicina la fine della legislatura che scriverà la parola fine su ciò che è rimasto dell’ispirazione e della forza d’urto originarie, i superstiti alle varie scissioni devono ingoiare diversi rospi. Gli ultimi in ordine di tempo sono l’apertura al termovalorizzatore di Roma e le restrizioni al reddito di cittadinanza. Due misure contenute nell’ultimo provvedimento di governo che bene rappresentano la chiusura del cerchio sulla storia del M5s.

Ieri Giuseppe Conte si è presentato a Mario Draghi praticamente con il cappello in mano, ovvero con un documento in 9 punti che raccoglie tutte le richieste che i Cinquestelle vorrebbero esaudite. Si va dal reddito di cittadinanza al salario minimo, dal decreto dignità agli aiuti per famiglie e imprese, dalla transizione ecologica, al superbonus 110%, fino alle misure di tipo fiscale. Purtroppo per il movimento, però, Conte e i suoi parlamentari non hanno alcuno strumento in mano per convincere – o spaventare – il governo e costringerlo a piegarsi. L’avvocato non ha la forza di carattere necessaria per arrivare alla spaccatura.

Né ha alle spalle un partito sufficientemente solido e in salute per ricattare il premier. Il risultato è che l’unico a farsi male in questa situazione è proprio il movimento. Nel caso in cui uscisse dal governo scatenerebbe una nuova scissione con la fuga dei governisti rimanenti verso Di Maio. Ma restando al governo è destinato a consumare lentamente ma inesorabilmente il proprio residuo consenso. Proprio come la mosca nel bicchiere sembra destinato a una brutta fine. E così, quello di ieri è stato l’ennesimo falso allarme di Giuseppe Conte, che passerà alla storia come l’uomo dei penultimatum.

Tant’è vero che, dopo le paturnie dei giorni scorsi e le solite allusioni a possibili atti estremi, la nota ufficiale di Palazzo Chigi suona quasi come un buffetto sulla guancia del ragazzino monello. “Un incontro positivo e collaborativo che si è protratto per oltre un’ora”, si legge nella nota, nel quale “in primo luogo Conte ha confermato il sostegno del M5s al Governo”: quindi, nemmeno l’ombra di una minaccia da parte dell’ex premier. La nota dello staff di Draghi, poi, definisce il documento del Consiglio nazionale del M5s semplicemente una “lettera” – anche perché ha lo stile di un testo che Conte rivolge a Draghi – specificando che “molti dei temi sollevati si identificano in una linea di continuità con l’azione governativa”. Della serie: abbiamo scherzato.

Il “documento” (o “lettera”) si compone in sostanza di due contenuti generali.

Da una parte, c’è la lista delle lamentele, con un mix di retorica vittimistica e di cavillosità causidica. L’erosione dell’elettorato grillino provocato dal sostegno al governo. La riduzione del consiglio dei ministri “al ruolo di mero consesso certificatore di decisioni già prese, con provvedimenti normativi anche molto complessi che vengono portati direttamente in Consiglio o, quando va bene, con un anticipo minimo, comunque inidoneo a consentirne un’analisi adeguata”. Lo smantellamento del cashback “senza neppure consultarci”.

L’assenza di “una piena dialettica” con il governo. La mancanza di “indicazioni precise sull’indirizzo politico” dell’esecutivo. L’accusa diretta a Draghi “di aver prodotto un clima di forte sfiducia nei cittadini e negli stessi operatori del settore” a proposito del superbonus. Una serie di autocommiserazioni recriminatorie: “Abbiamo subito attacchi pregiudiziali, mancanza di rispetto, fino a subire invettive intese a distruggere la nostra stessa esistenza. C’è stata spesso indifferenza rispetto alle nostre legittime richieste”. All’uscita dall’incontro, Conte lascia scivolare una coda velenosa: “Noi non siamo qui per predicare la transizione ecologica di giorno e per consentire nuove trivellazioni di notte”. Ma ad aggravare la crisi di nervi dei pentastellati ci si mette pure il parlamento europeo che approva proprio nel pomeriggio il regolamento sulla tassonomia verde che dà l’ok al gas e al nucleare.

L’altro focus del documento grillino firmato dall’ex premier insiste sulle proposte specifiche, molte pensate per fronteggiare la povertà e il disagio sociale. L’introduzione del salario minimo. Il no alle restrizioni del reddito di cittadinanza. Le misure contro il precariato. Un piano di rateizzazione straordinaria delle cartelle esattoriali senza pagamento di interessi e sanzioni. L’anticipo dell’applicazione del cashback fiscale. La soluzione dell’“incaglio che c’è sulla cessione dei crediti del superbonus”. Infine, contro l’impennata delle bollette, il documento non si accontenta del bonus da 200 euro ma chiede lo scostamento di bilancio: una richiesta che per Draghi suona come la più classica (e pericolosa) delle sirene populiste.

C’è perfino una richiesta di riforma tecnico-legislativa: l’inserimento di una clausola, per ogni legge delega, che preveda che “ogniqualvolta il Governo non si conformi al parere espresso dalle commissioni parlamentari, il Governo stesso ritorni in Parlamento per motivare specificamente la sua scelta e solo dopo questo passaggio sarà possibile l’approvazione definitiva del decreto legislativo”. Sul piano della politica estera, poi, ritorna l’ambiguità sul sostegno all’Ucraina e sul posizionamento geopolitico: il documento insiste sul disarmo invocando Papa Francesco e precisa che il M5s vuole restare nella Nato, ma da “non allineati”.

Niente di nuovo sotto al sole, insomma. Ma un livello di approssimazione e di ingenuità senza pari. Se ciascuna delle forze che sostengono il governo ragionasse in questo modo, la maggioranza si trasformerebbe in una nave dei folli. Per fortuna non è così. Infatti Palazzo Chigi annuncia per oggi il voto di fiducia sul decreto Aiuti. I grillini si tureranno il naso e voteranno sì, salvo affidare a un ordine del giorno il loro malessere contro il termovalorizzatore che Conte considera una “norma eccentrica” rispetto al testo in discussione. E poi avanti così, fino alla prossima fibrillazione. Che troverà l’avvocato sempre più debole e inadeguato a gestire la crisi finale del movimento.


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