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Giuseppe Conte e Matteo Renzi

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“PROPORZIONALE vo’ cercando come sa chi per lui maggioritario rifiuta”. Pare che nei corridoi dei passi perduti di Montecitorio e di Palazzo Madama  spiri una sottile brezza (i metereologi della politica pronosticano l’arrivo di un vento impetuoso) per  andare a votare l’anno prossimo con una legge elettorale proporzionale corretta da una soglia minima di accesso.

Come dice la canzone: “Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano’’. La Repubblica è nata con una legge elettorale proporzionale che ha garantito la stabilità per mezzo secolo. Ma a rendere stabile il sistema politico non erano tanto le norme di legge con cui si andava a votare e si ripartivano i seggi, ma l’assetto del quadro politico incentrato sulla Dc e i partiti (di volta in volta)  alleati. Porsi il problema se basti una legge elettorale di impronta maggioritaria a determinare un’alternanza tra due diversi schieramenti al governo del Paese oppure se sia, per ragioni storiche, l’esistenza di due partiti a rendere razionale un regime maggioritario equivarrebbe a domandarsi se è nato prima l’uovo o la gallina.

Se stiamo ai fatti un sistema elettorale a un solo turno esiste soltanto dove a sfidarsi nei collegi sono due partiti o comunque un numero assai limitato. Peraltro, nell’esperienza italiana, dal 1994 ad oggi, ci sono stati ben sedici governi ed uno solo presieduto da Silvio Berlusconi ha governato per un’intera legislatura (dal 2001 al 2006), a conclusione della quale ha perso le elezioni. Di solito, i governi di centro sinistra, anche ai tempi gloriosi dell’Ulivo e a quelli sovraffollati (17 sigle) dell’Unione, hanno avuto una durata limitata, trovando al proprio interno le ragioni della crisi. Le alleanze di centro destra e di centro sinistra sono stati dei cartelli elettorali, organizzati e predisposti con un solo obiettivo: sconfiggere la coalizione avversaria. Fino a quando nella XVIII legislatura il bipolarismo si è contrapposto non più in senso verticale, ma orizzontale: intorno ad un polo trasversale sovranpopulista (con propaggini in ambedue le aree, l’una contro l’altra armata) e ad uno legato alle alleanze e alle appartenenze tradizionali dell’Italia in Europa e a livello internazionale. Il paradosso, dopo il voto del 2018) è arrivato al punto che ambedue le coalizioni sono state costrette a prendersi in carico una delle forze antisistema (il M5S la sinistra; la Lega di Salvini la destra) dopo lo shock subito quando, all’inizio della legislatura, la strana alleanza giallo-verde, sulla base dei numeri, sembrava poter governare a lungo, se non si fosse autoaffondata sulla spiaggia del Papeete.

Chi ha interesse oggi a giocare in proprio nel 2023 con una legge di carattere proporzionale? La risposta è semplice: quei partiti che, per differenti motivi, non si ritrovano più nelle coalizioni che in questa legislatura hanno compiuto qualche giro di valzer insieme.

Partiamo da destra. Questa volta, secondo gli accordi presi in precedenti occasioni, è piazzata in pole position Giorgia Meloni. In realtà, vi è stato un travaso di voti, provenienti dal declino della Lega che si è giocata la primogenitura in cui aveva sperato il suo leader. Certo, se si va a votare con il Rosatellum è molto probabile che una rappattumata coalizione di centro destra riesca a prevalere nel mini-Parlamento ereditato dalla modifica della Costituzione, avallata dal referendum confermativo. Ma a Salvini conviene essere secondo a Roma o primo in Gallia? Peraltro, è sempre meno credibile quella federazione con Forza Italia, a cui sembra essere interessato Silvio Berlusconi, anche a costo di perdere un significativo gruppo di “azzurri’’ ormai convertiti al “draghismo”. 

A sinistra, il Pd comincia a preoccuparsi che il suo “campo largo’’ diventi un “campo santo’’ in cui seppellire il principale alleato, quel M5S che, ogni giorno che passa, somiglia sempre più ad un Frankenstein sottoposto a violente crisi di rigetto degli organi trapiantati dal suo guru fondatore. Poi ci sono i cespugli “centristi’’: un battaglione di generali e ufficiali di grado superiore, con poche truppe al seguito. In costanza di Rosatellum sarebbe forte (“esistenziale’’) la spinta ad accasarsi allo scopo di negoziale nell’ambito della coalizione qualche seggio nel maggioritario. Ma sono troppi quelli che dovrebbero turarsi il naso; e più sono minoritari più avvertono i cattivi odori. Questi partiti avrebbero interesse ad una legge elettorale di carattere proporzionale, che consentirebbe loro di fare “massa critica”. Inoltre, mentre nel confronto bipolare è opportuno indicare un leader della coalizione; con una legge diversa ognuno starebbe a casa sua, in attesa che, dopo le lezioni il presidente della Repubblica si metta al lavoro per trovare una maggioranza.

Ammetto di non essere ben informato sugli ultimi “desiderata” dei partiti  sul come andare alle elezioni. Dubito però che, al dunque, su di una legge proporzionale siano d’accordo – per ragioni quasi opposte – FdI e il M5S di rito contiano. Nel primo caso, immagino che Meloni si accorga del tentativo di fregatura da parte di chi è intenzionato a rubarle la possibile vittoria della coalizione. Nel secondo caso, Conte è consapevole di valere di più (in termini di posti nei collegi) come azionista di minoranza del “campo largo’’, che a giocare da solo – con la sua squadretta – in un campo da calcetto. 

Poi ci sono le questioni di merito. Se tutto prosegue senza strappi e si va a votare in primavera, non si deve dimenticare che le forze politiche sono attese ad un passaggio cruciale: la legge di bilancio. In un Paese normale le scelte compiute in quell’occasione cruciale (per i tempi che corrono) condizionerebbero anche le alleanze che si formeranno pochi mesi dopo.  


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