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Una studentessa in dad

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È durata giusto qualche settimana l’apertura delle scuole in Campania. Venerdì il presidente Vincenzo De Luca ha infatti decretato una nuova serrata per tutti gli edifici scolastici di ogni ordine e grado. Ma le catene ai cancelli delle scuole sono stati stretti anche altrove in Italia: il pericolo varianti del virus ha spinto molti amministratori locali a rilanciare la didattica a distanza (Dad).

Tornano allora di strettissima attualità i richiami degli esperti sui danni che questo metodo di insegnamento arreca ai giovani. L’ennesimo è giunto da Maria Cristina Gori, neurologa, psicoterapeuta e docente del corso Ecm “Imparare dal Covid-19: le conseguenze psicologiche da isolamento e didattica a distanza” realizzato da Consulcesi.

«Le conseguenze psicologiche della Dad sono note solo in parte, ma sappiamo già che in alcuni casi possono compromettere l’apprendimento degli studenti», dice la Gori. In una nota stampa passa in rassegna alcuni danni, come sedentarietà, cattiva alimentazione, dipendenza dai videogiochi e disturbi del sonno.

Una relazione del prof. Giuseppe Riva, direttore del laboratorio sperimentale ricerche tecnologiche applicate alla Psicologia dell’Istituto Auxologico Italiano, rileva che «le relazioni online sono molto diverse da quelle faccia a faccia e questo, alla lunga, può creare un senso di disorientamento e di disagio». Ma «anche la loro efficacia è inferiore, perché non si riesce a creare una relazione tra docente e studente che passi attraverso la comunicazione non verbale e lo stesso vale per la classe, non si riesce a creare con la classe una relazione che supporti l’attività didattica».

Anche Riva evoca il problema dell’apprendimento. Sottolinea che «nella Dad i neuroni GPS non vengono attivati». Per questo «le esperienze fatte hanno maggiore difficoltà a fissarsi nella memoria autobiografica. Il rischio è quello di passare le giornate ad ascoltare cose che dimenticheremo molto in fretta».

Ad avviso della Gori, l’errore maggiore che si fa con la Dad è voler riprodurre la modalità in presenza con il mezzo digitale. Piuttosto, lei propone come metodo più funzionale la cosiddetta «classe capovolta», che «si propone come un modello di sperimentazione della classe del futuro attraverso una rivoluzione della struttura stessa della lezione, ribaltando il sistema tradizionale che prevede un tempo di spiegazione in aula da parte del docente, una fase di studio individuale da parte dell’alunno a casa e successivamente un momento di verifica e interrogazione nuovamente in classe».

Inoltre, agli insegnanti chiede di trasmettere speranza per il futuro. «L’obiettivo deve essere quello di mostrare che il virus non è tutta la vita, ma solo una fase», consiglia l’esperta. «E che il modo di affrontare questa fase rappresenta una sfida. I ragazzi – continua – apprendono più dalle modalità implicite che da quanto dichiarato. Apprendono maggiormente gli stati d’animo, le paure, le ansie, le speranze, l’orgoglio». Per questo, conclude, «gli adulti hanno la responsabilità di trasmettere la forza e la gioia di vivere, nonostante tutto».


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