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Una discoteca chiusa

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«Il 30% delle discoteche presenti sul territorio nazionale ha già chiuso e un ulteriore 40% farà la stessa fine se non ci sarà consentito di ripartire entro la stagione estiva. Stiamo andando verso l’azzeramento del settore». È un autentico grido d’allarme quello di Maurizio Pasca, presidente del Silb-Fipe, Associazione italiana imprese di intrattenimento da ballo e di spettacolo. Un settore da tremila locali in tutta Italia che da solo vale 2 miliardi di euro, ne produce 600 milioni in termini di gettito fiscale e dà lavoro a 100mila persone. Nel complesso il grande assente nella road map di riaperture uscita dalla cabina di regia del 17 maggio.

«Il governo si è completamente dimenticato di noi – attacca Pasca – non ha speso neanche una parola. Eppure siamo il settore più danneggiato dalla pandemia, chiuso dal 23 febbraio 2020, salvo una piccola parentesi di riapertura durante la scorsa estate che, in ogni caso, ha potuto sfruttare solo il 10% delle nostre attività. Ciò significa che per il restante 90% la serrata dura ininterrottamente da 15 mesi. Le perdite di fatturato sono enormi e i ristori ricevuti non sono sufficienti per coprirle».

Una scelta, quella dell’esecutivo, che Pasca non riesce a spiegarsi se non con una battuta: «Non ci considerano forse perché siamo brutti, sporchi e cattivi». Scherzi a parte «ogni motivazione di questa decisione andrebbe chiesta all’esecutivo. E, lo dico subito, non può essere legata al rischio di assembramenti. Basta prendere un mezzo pubblico, partecipare a un aperitivo serale, recarsi in un centro commerciale o in mercato rionale per rendersi conto che queste situazioni si verificano in continuazione». Poi un paradosso: «Riaprono i parchi tematici, addirittura i centri sociali, e noi no. E’ incomprensibile».

Oltre agli imprenditori a pagare il conto della crisi sono, soprattutto, «i nostri addetti, lo ripeto, 100mila persone che vivono in condizioni pietose. Parliamo di vocalist, dj, barman, guardarobieri e addetti alla sicurezza. Lavoratori inquadrati con contratti atipici, a chiamata o a intermittenza, che pertanto sono senza stipendio da oltre un anno non potendo accedere agli ammortizzatori sociali messi in campo dal governo, a partire dalla cassa integrazione».

Ma le conseguenze riguardano tutti, anche il sistema Paese. «Siamo un’attività economica che produce ricchezza – spiega – e che ha un impatto importante sul turismo. Sa cosa succederà la prossima estate se non ripartiremo? Che tanti ragazzi e frequentatori abituali delle discoteche preferiranno l’estero per le proprie vacanze, magari la Spagna o la Grecia, dove il nostro settore è tenuto in grande considerazione, non è maltrattato come da noi. D’altronde i prezzi dei voli ormai sono così bassi che spostarsi oltre confine durante la bella stagione sarà addirittura conveniente».

Per chi resterà in Italia potrebbero spalancarsi le porte delle feste abusive. «Parliamoci chiaro – dice – 3 milioni di ragazzi in cerca di divertimento non li fermi. Se i locali saranno chiusi si riuniranno in luoghi improvvisati, non controllati e totalmente irregolari». Intanto le mafie «continuano a mettere le mani sulle attività a rischio chiusura, acquistabili a basso costo». Chi sopravvive, medio tempore, sta puntando sulla riconversione della propria attività, sfruttando magari le riaperture degli altri comparti, dalla ristorazione agli spettacoli dal vivo. «Sono soluzioni che permettono di andare avanti – sostiene Pasca – ma non riescono comunque a coprire i costi di gestione, molto elevati, dei nostri locali».

La strada maestra, dunque, resta quella di una rapida ripartenza. «Al momento – racconta – ci sono in ballo due eventi sperimentali per le riaperture, uno al Nord e uno al Sud ma non sono stati ancora confermati. Noi da tempo abbiamo predisposto dei protocolli da sottoporre al governo e speriamo di poterlo fare quanto prima. Il tempo della ripresa deve arrivare anche per le discoteche».


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