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Fernando Pessoa

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Fernando Pessoa dalla finestra della sua mansarda, nel quartiere di Lisbona dove abita, osserva un tabaccaio che sosta in strada, davanti la sua tabaccheria. È grato al tabaccaio e alla sua insegna che frenano il vorticoso scomparire che gli accade molte ore al giorno, molti giorni all’anno, da tutta la vita. Eppure all’improvviso anche quel solido, reale “altro da sé” viene catturato nel vortice e l’uomo, l’insegna, la strada, il pianeta intero girano, si dissolvono, si perdono e non lasciano nulla di loro, se non la consapevolezza che futuri e diversi “sé”, riempiranno quel vuoto, perpetueranno quella vita, con una staffetta ininterrotta di sentimento e senso che altro non è se non l’esistenza di tutte le cose nell’universo: “Lui morirà e io morirò./ Lui lascerà l’insegna, io lascerò dei versi./A un certo momento morirà anche l’insegna, e anche i versi./Poi morirà la strada dove fu l’insegna/ e la lingua in cui furono scritti i versi./ Infine morirà il pianeta ruotante in cui tutto ciò avvenne./ In altri satelliti di altri sistemi, qualcosa simile a gente/ continuerà a fare cose come versi e a vivere sotto case come insegne[…]”

Fernando Pessoa nasce il 13 giugno del 1888, ma pure il 15 ottobre 1890 e l’8 marzo del 1914. Pessoa nasce e muore centinaia di volte, in decine di modi differenti, con personalità brillanti o malinconiche, rivolte al passato o audacemente avanguardiste. Ecco Alberto Caeiro, neopagano e antimetafisico, nato già morto e maestro di tutti gli altri; entra poi sulla scena il classicista Ricardo Reis, un medico filomonarchico che si trasferirà in Brasile; si presenta, quindi, perfettamente formato Álvaro de Campos, ingegnere navale laureato a Glasgow, che si proclama futurista e nichilista; mentre Bernardo Soares è se stesso solo a metà, essendo per l’altra metà dichiaratamente dipendente da un altro, lo stesso Pessoa, un fratello siamese dell’animo, tanto da guadagnarsi la definizione di semi-eteronimo. Si dice che siano 136 quegli altri sé che hanno scritto, insieme a lui, la letteratura di Pessoa. Saltati su da “quel baule pieno di gente”, come Tabucchi definiva l’opera omnia, che effettivamente era stata conservata e ritrovata in un baule per la biancheria, anche molti anni dopo che Pessoa, il primo di tutti, era defunto a soli 47 anni, a causa di una grave cirrosi epatica. “Sentire tutto in tutte le maniere, / vivere tutto da tutti i lati, / essere la stessa cosa in tutti i modi possibili allo stesso tempo / realizzare in sé tutta l’umanità di tutti i momenti / in un solo momento diffuso, profuso, completo e distante.” In molti hanno cercato di realizzare l’impresa in cui lo stesso Pessoa si dichiarava fallimentare: quella di conoscere Fernando Pessoa. Hanno tentato dal punto di vista biografico, sociale, culturale, medico, antropologico, estetico, drammaturgico, psicologico.

Hanno analizzato l’incredibile coincidenza del suo nome che in portoghese significa “persona”, che in latino significa “maschera”, che in francese significa “nessuno”. Ogni persona è un nessuno che indossa una moltitudine di maschere, hanno dedotto. O anche, ogni nessuno è una moltitudine di maschere che nasconde la persona. Non ne sono venuti a capo, o meglio ognuno ha stretto nella mano il proprio capo. Come è giusto che sia. Pessoa non lo avrebbe voluto, Caeiro nemmeno, Reis a maggior ragione, Soares neanche a parlarne. Ci si è domandati poi se gli eteronimi, come Pessoa amava chiamare questi sé, cari come fratelli, che creava fin dai sei anni, vivessero di una realtà mentale o poetica o patologica o psichiatrica o sentimentale.

Come se fosse importante distinguere gli ambiti, quasi si potesse tirare una netta demarcazione tra verità e finzione, tra finzione e finzione, tra verità e verità. Eppure Pessoa aveva indicato chiaramente la strada, nei suoi versi più giustamente celebri, quelli del poeta fingitore che “finge così completamente/ che arriva a fingere che è dolore/ il dolore che davvero sente.” La letteratura e la poesia sono il luogo che congiunge i luoghi, gli spazi, i tempi, le verità e le finzioni. Ognuno dei suoi eteronimi è insieme lui stesso e un personaggio, una persona possibile ma anche in certe sue parti reale. Non è così che accade nella letteratura? Non crea la letteratura mondi allo stesso tempo ipotetici e reali senza che si senta il bisogno di scindere i termini gli uni dagli altri o tracciare delimitazioni? “Per creare, mi sono distrutto; mi sono così esteriorizzato dentro di me che dentro di me non esisto se non esteriormente. Sono la scena viva sulla quale passano svariati attori che recitano svariati drammi.” Chi può arrogarsi la presunzione di dire che gli uni attori sono reali e gli altri no, e così i loro drammi? Pessoa sicuramente no. Neppure i punti fermi della condizione umana su questa terra possono aiutare perché Caeiro, Reis, Soares e gli altri nascono, muoiono, si evolvono, cambiano idea, mutano stili, come chiunque altro. L’esistenza di nessuno di loro può essere tacciata di povertà di eventi, di mancanza di intendimenti o di staticità. Tranne una. È capace di fissare fuori da quella finestra per ore, a volte giorni, osservando ogni cosa e ogni cosa sentendola fluire in sé, come se lui fosse l’eternità e il resto fosse il tempo che gli passa attraverso. Fernando Pessoa, per tutta la vita impiegato di un’impresa di import-export, demandato alla traduzione di conversazioni e documenti, rimane fino alla fine prigioniero di Lisbona, a sua volta prigioniera di quella casa, prigioniera di un corpo, prigioniero di se stesso. Gli altri sé, però, esistevano fuori, facevano viaggi e imprese, incredibilmente liberi e vitali. Come vitale era la realtà che a Pessoa sgorgava da dentro, al pari di quella che lo attraversava da fuori.

“Fernando Pessoa non riuscì mai a essere davvero sicuro di chi fosse, – scrive Saramago, autore de L’anno della morte di Ricardo Reis – ma grazie al suo dubbio possiamo riuscire a sapere un po’ di più di chi siamo noi.” Probabilmente, era proprio quello che aveva compreso Pessoa, e che vale per chiunque, uno e centomila.

Persóna s. f. [lat. persona, voce di origine prob. etrusca, che significava propr. «maschera teatrale» e poi prese il valore di «individuo di sesso non specificato», «corpo», e fu usata come termine grammaticale e teologico]. – 1. a. Individuo della specie umana, senza distinzione di sesso, età, condizione sociale e sim., considerato sia come elemento a sé stante, sia come facente parte di un gruppo o di una collettività. Già la stessa definizione di persona (quella citata è tratta dall’Enciclopedia Treccani), come direbbe Whitman, è vasta e contiene moltitudini.


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