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Bertrand Gachot (Illustrazione di Roberto Melis)

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Eric Court era alla guida del suo taxi nero nel cuore a luci intermittenti della Londra natalizia, la sera del 18 dicembre 1990, dalle parti di Hyde Park Corner: senza passeggeri a bordo, cercava di districarsi nel caos di bus rossi, cabs neri, veicoli vari e pedoni variopinti e carichi di shoppers. Un ragazzo che non aveva ancora trent’anni, nato a Lussemburgo, belga di cittadinanza, padre francese e madre tedesca, europeo totale (come sbandierava sui circuiti di Formula Uno esibendo, sul casco del pilota che era, lo stendardo dell’Unione Europea), era al volante di una Alfa Romeo. Lui un passeggero lo aveva, anzi una passeggera: la sua ragazza, bellissima.

Qualcosa, forse qualcuno, andò storto in mezzo al traffico: Bertrand Gachot (era questo il nome del ragazzo) tamponò con la sua Alfa il taxi nero. Gachot aveva avuto un paio di stagioni non fortunatissime, per dir così, in Formula Uno: aveva guidato prima la Onyx e la Rial e poi la Coloni, vetture di scarsa affidabilità e ancor minore competitività. C’era una gran folla di concorrenti (nell’89 addirittura 39) e per la sicurezza delle gare la mattina del venerdì di gran premio si faceva una scrematura che escludeva parecchi fin dalle prove ufficiali. Spesso per Gachot l’impegno del weekend finiva il venerdì mattina

Ma il 1991 era un prospetto assai migliore. Bertrand era stato ingaggiato, insieme con l’italiano Andrea De Cesaris, da una scuderia inglese nuova di zecca, quella che stava mettendo su Eddie Jordan, un guru delle categorie minori, che in quella stagione voleva tentare il grande balzo.

Sarebbe stato un bel Natale per Gachot. Però, furibondo per la banalità dell’incidente, Eric Court scese dal suo taxi, aggressivo, almeno a parole. Anche Bertrand scese, pronto al rimpallo delle responsabilità. Aveva qualcosa in mano. Quando credette che dalle parole il taxista sarebbe passato ai fatti, cercò di precederlo. Alzò la mano e quel qualcosa che aveva in mano era una bomboletta-spray di gas CS, in chimica si chiama ortoclorobenzilidenmalononitrile, la sigla CS sta per Corson e Staughton, i due inventori. È’ un gas urticante, anche un’arma chimica. Bertrand aveva comprato la bomboletta in Germania, dove era perfettamente legale. Non sapeva che in Inghilterra era perfettamente illegale. Arrivò la polizia, ovvia la denuncia, ovvio il processo. Ma chissà quando, pure se la giustizia inglese non ha il ritmo lento di quella italiana.

La stagione di Formula Uno cominciò meglio che non quelle passate per Gachot: qualche piazzamento a punti con la Jordan 191; a giugno riuscì pure a vincere una gara d’altro tipo, la 24ore di Le Mans al volante di una Mazda, in équipe con Weidler e Herbert. C’era anche Michael Schumacher, che arrivò quinto. Al gran premio d’Ungheria Gachot arrivò nono, ma ottenne il giro più veloce. Era un buon lancio per il gran premio del Belgio, in programma sul circuito di Spa-Francorchamps il 25 agosto. “Sono certo che farò almeno la pole position, quel circuito lo conosco benissimo” disse Gachot alla fine della gara di Budapest.

E tornò, con tutto il team, nella “tana” di Silverstone, in Inghilterra. Forse si era dimenticato dell’incidente di Hyde Park Corner. Ma la giustizia non si era dimenticata di lui. Mandato di comparizione per il processo subito dopo ferragosto. “Sarà una faccenda breve, una multa e via” gli dissero gli avvocati. Il processo fu breve, ma la sentenza pesante: sei mesi di carcere. Lo portarono nella prigione di Brixton, una delle più malfamate di Londra, che aveva avuto anche detenuti illustri pure se per ragioni molto differenti: ad esempio il filosofo Bertrand Russell, Nobel per la pace, che c’era stato due volte, nel 1918 per un articolo pacifista e nel 1961 per il suo attivismo contro la proliferazione nucleare, e la rockstar Mick Jagger, la cui detenzione durò una notte, dopo che la notte prima una irruzione della polizia al suo domicilio aveva trovato droga,

Jordan aveva bisogno urgente di un pilota da affiancare a De Cesaris: stava valutando candidature quando gli telefonò un manager tedesco che gestiva piloti, Willy Weber. “Ho un ragazzo per te” disse. “Ha mai guidato a Spa?”. “No, ma è nato e cresciuto a una cinquantina di chilometri da lì”. L’argomento che convinse il patron Eddie fu però che la Mercedes era disposta a pagare 150 mila sterline per testare il suo “pilotino” per una gara. “Affare fatto, mandalo subito a Silverstone”.

Mercoledì 21 agosto il ragazzo era sul posto. Si mise al volante e fece tempi migliori dei migliori collaudatori veterani. “Ehi, Ian, chiama Eddie: abbiamo trovato una stella” disse subito Trevor Foster, il manager della Jordan, al direttore commerciale Ian Phillips. Eddie approvò. Il ragazzo partì per il Belgio, alloggiò in un ostello della gioventù perché la Jordan non pagava l’alloggio. Il giovedì arrivò al circuito per “ispezionarlo”. Prese in affitto una mountain bike e fece due giri. In prova convinse i presenti: settimo tempo, quattro posti avanti all’esperto compagno De Cesaris. La domenica, al via, lasciò andare troppo presto la frizione e la bruciò: dopo due curve era fuori. L’anno dopo, su quel circuito belga, il ragazzo vinse il suo primo gran premio. Lo aspettavano altre 90 vittorie e sette titoli mondiali: era Michael Schumacher. Tutto cominciò con un incidente fra un black cab e un’Alfa Romeo verso un Natale ad Hyde Park Corner.


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