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La protagonista di "A Chiara" del regista di origini calabresi Jonas Carpignano

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Un destino segnato si può sempre cambiare ma a volte il costo è altissimo, vale per tutti ma per alcuni di più se, come accade in A Chiara di Jonas Carpignano tuo padre traffica con la droga ed è costretto alla latitanza.

Il film, applaudito a Cannes 2021 ha vinto la Europa Cinemas Cannes Label alla Quinzaine des Realizaterus, è stato selezionato per gli Efa, gli oscar del cinema europei a dicembre, e ora comincia il suo viaggio in sala, distribuito dal 7 ottobre da Lucky Red, sull’onda di critiche cinematografiche davvero positive, designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani SNCCI.

Tutto ruota, come dice il titolo, intorno a Chiara, interpretata da una eccezionale magnetica esordiente Swamy Rotolo la cui “verità” di ragazza di quel territorio è una potenza del film. Chiara scopre improvvisamente che il padre tanto amato non è proprio un impiegato del catasto quando lo vede fuggire in piena notte dalla finestra con la madre ad aiutarlo. Scopre da sola il bunker segreto in casa e dettagli sulla sua “professione”.

È coraggiosa Chiara: si mette in discussione, mette in discussione il padre, i familiari conniventi, ma quando il tribunale dei minori viene a prenderla per “salvarla” lei non ci sta e scappa. Le cose andranno diversamente, la bussola prenderà la direzione giusta, i suoi 18 anni saranno lontani da casa.

Il film racconta una realtà che non molti conoscono: c’è un protocollo legislativo, “Liberi di scegliere” ideato dal presidente del tribunale dei minori Roberto di Bella per togliere i minori in serio pericolo psichico ed anche fisico all’interno delle famiglie di mafia e farli crescere altrove con famiglie pronte ad accogliere. Questo secondo moltissimi è uno dei pochi fari di speranza in terre condizionate dalla malavita organizzata, dalle ‘ndrine. Per spezzare un cerchio: alla base c’è l’idea che essere figli di non è una colpa ma è una condizione difficile dalla quale si può uscire se si ha fiducia nello Stato. Ma consumare lo strappo dalla famiglia è davvero arduo come si vede nel film.

«È il terzo che giro a Gioia Tauro», dice Jonas Carpignano, il talentuoso regista 37enne nato a New York di origine italiana, con cittadinanza americana, accento calabrese e un padrino cinematografico d’eccezione come Martin Scorsese. «Non ho mai visto una sparatoria, non si può negare che ci sia un tessuto sociale difficile e complesso ma vivere qui non è come ci hanno abituati le fiction, è molto più normale, è un microcosmo, un laboratorio di globalismo, con giovani non diversi da tutti gli altri. La differenza – prosegue – è che tuo padre si può trovare a fare un lavoro malavitoso e non sempre è una scelta ma l’unica cosa possibile e al tempo stesso amare la tua famiglia».

Tutta la famiglia Rotolo ha partecipato al film e tutto il cast è stato preso dalla strada, un “neorealismo” accentuato dal fatto che «non ho mai dato loro la sceneggiatura volevo sorprenderli, dando loro la possibilità di viverlo più che interpretarlo», aggiunge Carpignano. «Faccio film che riflettono il mondo che raccontano, lontani dai cliché, più vicini possibile alla realtà «, spiega il regista che con A Chiara conclude la trilogia di Gioia Tauro iniziata con “Mediterranea” (2015) e proseguita con “A Ciambra” (2017).

Girato a Gioia Tauro (dove Carpignano fa anche un festival di cinema), nel quartiere storico di Piano delle Fosse con abitanti ormai habitué del suo cinema come la famiglia Rotolo, con la comunità rom di Ciambra, porta al cinema una Calabria non arcaica ma moderna con tutte le sue contraddizioni e sfilacciamenti.

(Ansa)

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