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La maxi inchiesta Petrolmafie Spa, condotta dalle procure distrettuali di Napoli, Roma, Catanzaro e Reggio Calabria, ha portato alla luce gli interessi della criminalità sulla produzione e la distribuzione dei carburanti (LEGGI).

Per quanto riguarda la parte dell’indagine curata dalle procure di Napoli e Roma sul fronte anti-camorra le indagini hanno riguardato in particolare il clan MOCCIA e la Max Petroli SRL.

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«Il sodalizio criminale denominato “clan MOCCIA” – spiega la finanza – costituisce una tra le più potenti e pericolose organizzazioni camorristiche del panorama nazionale ed è notorio per l’abilità nello stringere patti con esponenti di rilievo dei settori pubblico e privato per agevolare profittevoli investimenti di capitali illeciti nell’economia, legale e illegale».

Tra le indagini condotte dalla DDA di Napoli negli ultimi 15 anni sui MOCCIA, quella odierna «mette in luce le più attuali evidenze degli interessi dei MOCCIA nell’Economia legale, in particolare nel “settore strategico dei petroli» e riguarda «inizialmente rilevanti investimenti del clan MOCCIA nei settori dell’edilizia e del mercato immobiliare»

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A conferma dell’importanza attribuita al nuovo canale “legale” di investimento, a gestire l’operazione era «un esponente di vertice del clan, Antonio MOCCIA attraverso contatti, ampiamente intercettati, con l’imprenditore di settore Alberto Coppola, coi commercialisti Claudio ABBONDANDOLO e Maria Luisa DI BLASIO e col faccendiere Gabriele COPPETA. Infatti COPPOLA utilizzava nelle proprie relazioni commerciali la sua parentela con MOCCIA Antonio, presentandosi all’occorrenza come suo cugino; lo stesso MOCCIA qualificava il COPPOLA pubblicamente come suo “cugino”».

Inoltre, «attraverso una serie di operazioni societarie, il gruppo entra in rapporti con la Max Petroli SRL – ora MADE PETROL ITALIA SRL – di Anna BETTOZZI, che aveva ereditato l’impero di Sergio DI CESARE, noto petroliere romano».

La Max Petroli si trovava «in grave crisi finanziaria» e Bettozzi «grazie alla conoscenza di Coppola era riuscita a ottenere forti iniezioni di liquidità da parte di vari clan di camorra, tra cui quelli dei MOCCIA e dei casalesi, che le avevano consentito di risollevare le sorti dell’impresa, aumentando in modo esponenziale il volume d’affari, passato da 9 milioni di euro a 370 milioni di euro in tre anni, come ricostruito dal III Gruppo Tutela Entrate della GDF di Roma su delega della DDA capitolina, anche grazie alla trasmissione da parte della Procura di Napoli delle proprie risultanze investigative, in totale osmosi informativa».

Inoltra, risulta che «la Bettozzi avrebbe sfruttato non solo il riciclaggio di denaro della camorra, ma anche i classici sistemi di frode nel settore degli oli minerali, attraverso la costituzione di 20 società “cartiere” per effettuare compravendite puramente cartolari in modo tale eludere con la Made Petrol le pretese erariali, potendo così rifornire i network delle c.d. “pompe bianche” a prezzi ancor più concorrenziali».
Il successo imprenditoriale consentiva inoltre agli indagati di mantenere un elevato tenore di vita, fatto di sontuose abitazioni, gioielli, orologi di pregio e auto di lusso».

Nel mese di maggio 2019, ad esempio, «la Bettozzi fu fermata a bordo di una Rolls Royce alla frontiera di Ventimiglia (IM), mentre si recava a Cannes per partecipare all’omonimo festival del cinema, e trovata in possesso di circa € 300.000 in contanti. I successivi accertamenti presso il lussuoso albergo a Milano dove soggiornava, consentirono di rinvenire altri 1,4 milioni di euro, sempre in contanti, poi sottoposti a sequestro».

Nel frattempo, «i Moccia ponevano la base logistica per lo svolgimento delle attività fraudolente negli uffici napoletani di Coppola da dove venivano coordinate le commesse di materiale petrolifero e organizzato il vorticoso giro di fatturazioni per operazioni inesistenti e i movimenti finanziari (esclusivamente on-line). Per il gruppo criminale, infatti, una volta disposti i bonifici relativi al formale pagamento del prodotto energetico sorgeva la necessità di monetizzare in contanti le somme corrispondenti all’IVA non versata all’erario dalle società cartiere».

Per la raccolta delle ingenti somme liquide derivanti dalla frode, «il clan Moccia si avvaleva di una vera e propria organizzazione parallela, autonoma e strutturata, atta al riciclaggio di elevate risorse finanziarie, gestita da “colletti bianchi”, attiva sia sul territorio partenopeo che su quello romano. In pratica, le società “cartiere” gestite dal gruppo COPPOLA, una volta introitate le somme a seguito delle forniture di prodotto petrolifero, effettuavano con regolarità ingenti bonifici a società terze, simulando pagamenti di forniture mai avvenute».

Quest’ultimo, «mediante la propria organizzazione territoriale, provvedeva ai prelevamenti in contanti e alle restituzioni tramite “spalloni”. Nello svolgere tale attività, questo gruppo tratteneva per sé una percentuale su quanto incassato. Si trattava – prosegue la Finanza – in buona sostanza di soldi provenienti dalle attività illecite dei clan reinvestiti in un settore economico legale, quello dei petroli, per produrre altri proventi illeciti attraverso le frodi fiscali: un effetto moltiplicatore dell’Illecito che finisce per annichilire la concorrenza, sia per i prezzi alla pompa troppo bassi per gli operatori onesti, sia perché questi ultimi indietreggiano quando capiscono che hanno di fronte imprenditori mafiosi».

Per il territorio di Roma, «quella struttura professionale si avvaleva di altri soggetti che gestivano piccoli gruppi di persone, le cui mansioni erano quelle di effettuare continui prelievi di contanti (in misura frazionata) su conti correnti postali intestati a società cartiere e/o a soggetti prestanome. Tali risorse finanziarie in contanti, una volta raccolte, venivano concentrate nell’area napoletana, e fatte pervenire, tramite “spalloni”, agli stessi riciclatori romani, che successivamente provvedevano alla consegna ai “clienti”, tra i quali come detto figurava proprio il gruppo societario facente capo ad Alberto COPPOLA e Antonio MOCCIA, a perfetta chiusura del riciclo di denaro sporco».

In conclusione «Antonio MOCCIA, Alberto COPPOLA e Anna BETTOZZI – secondo gli inquirenti – risultano gravemente indiziati di aver stretto un accordo societario di fatto per la commissione di illeciti di cui hanno beneficiato praticamente tutti i soggetti coinvolti. La BETTOZZI, infatti, è risultata donna scaltra e molto ben inserita negli ambienti del potere imprenditoriale (e non solo) capitolino, e tuttavia non all’altezza di sostituire da sola il coniuge, petroliere di collaudata esperienza: il patto con COPPOLA e MOCCIA, dunque, ha apportato agli affari comuni la competenza “specialistica” del COPPOLA e soprattutto le provviste finanziare e il sostegno del potere mafioso del MOCCIA, le une e l’altro non soltanto ben accetti ma anche ricercati dal mondo affaristico romano».

Non bisogna, infine, dimenticare che «Alberto COPPOLA subisce due attentati con esplosione di colpi di pistola, a seguito dei quali non esita a chiedere aiuto al suo referente e parente Antonio MOCCIA che si attiva. Ne consegue una pax mafiosa, imposta dai MOCCIA e suggellata con la cessione di una quota dell’impianto di carburanti al clan MAZZARELLA».

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