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Il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri

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Mentre i tecnici del Mef, insieme al ministro Roberto Gualtieri, hanno continuato a fare i conti per l’intera giornata di ieri per far quadrare i numeri in cui si traducono le richieste dei partiti di maggioranza, e poter chiudere la nuova bozza del Recovery plan, sono stati definiti i capitoli trasversali alle 6 missioni che compongono il Piano su cui il governo intende impegnare i 196 miliardi del Next Generation Eu, tra cui compare il Mezzogiorno, e preso forma le novità che dovrebbero arrivare al più presto sul tavolo di Palazzo Chigi, per poi esser probabilmente sottoposta alle delegazioni delle forze politiche prima di arrivare in Consiglio dei ministri. Sempre che la crisi di governo nel frattempo non sia deflagrata.

Il Sud, grazie alla sua acquisita trasversalità – sostenuta dal Mef, ma anche dal Pd e da Leu, e che condivide con i capitoli “donne” e “giovani” – conquista una quota di risorse maggiore nel Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Maggiori fondi che verranno impegnate nel Meridione sull’istruzione, la ricerca, i porti e la rete ferroviaria. In particolare, per quanto riguarda il pacchetto ferrovie – tra l’alta velocità che “guadagna” 5 miliardi in più e le linee tradizionali – nel Sud verranno investiti oltre la metà dei 25 miliardi previsti.

Se nella rimodulazione del piano la voce investimenti acquista maggiore volume e valore, resta il fatto che quella degli incentivi viene considerata ancora troppo pesante. Al di là del Superbonus 110% – su cui restano forti le pressioni del Movimento 5 stelle affinché venga esteso fino a comprendere tutto il 2023 – e di Transizione 4.0 – che invece potrebbe dover sacrificare il superammortamento per gli investimenti non green – ci sono ancora troppi bonus, alcuni con importi rilevanti, anche intorno al miliardo. Cui si accompagnano una serie di microprogetti e microincentivi, la cui paternità è riscontrabile in quasi tutti i ministeri, che si è cercato di accorpare o ridurre, anche perché insieme impegnano risorse rilevanti, ma poco hanno a che fare con la natura di investimento in conto capitale che dovrebbe informare l’intero progetto di “recovery”, e su cui l’Europa potrebbe avere da ridire. Così come sulle spese correnti che per il lavoro e l’istruzione.

Ma il vero nodo da sciogliere, che desta non poche preoccupazioni, è la messa a terra dei progetti, considerando anche le possibili resistenze ad opera dei diversi territori.

Intanto, un’alta voce che dovrebbe veder aumentare la sua dotazione è quella della sanità che passerebbe dai 9 miliardi previsti nella prima bozza del 7 dicembre a complessivi 18.

«È giusto che sia così – ha affermato il vice ministro dell’Economia Antonio Misiani – è evidente che un Paese che è ancora in piena emergenza pandemica deve ripensare il proprio sistema sanitario e rafforzare la rete territoriale. Dobbiamo fare in modo che anche il sistema sanitario raccolga la sfida della digitalizzazione. Tutto questo costa ma sono soldi ben investiti».

Mentre al Mef si cerca di far quadrare i conti, i venti di crisi continuano a sferzare i palazzi della politica. Trovare una sintesi tra queste stanze sembra quasi più difficile della mediazione e della quadratura sul Recovery plan. Il rischio, poi, che proprio il piano di ripresa possa farne le spese – e con lui le speranze di portarlo a Bruxelles nei tempi stabiliti e dare all’Italia la possibilità di rimettersi in piedi – non appare così pellegrina.

A suonare l’allarme è stato ieri il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, richiamando i compagni di governo. Nella maggioranza, ha affermato, deve «prevalere la responsabilità». «Dire che si va a votare tra un mese e mezzo vuol dire che ci abbandoniamo ad un governo che svolgerà l’ordinaria amministrazione quando siamo in una situazione che di ordinario non ha nulla. E rischiamo di perdere i fondi del Recovery fund – ha aggiunto – C’è una forza di governo che sta mettendo in discussione il governo così com’è».

«Io mi auguro prevalga la responsabilità. Se perdiamo il prossimo mese e mezzo o due in campagna elettorale rischiamo di perdere i fondi del Recovery fund», ha ribadito per poi aggiungere: «Se ci sono cose da mettere a posto le mettiamo a posto come abbiamo sempre fatto. Ma dico anche, facciamolo anche con le opposizioni perché questo è il piano che determinerà il futuro dell’Italia nei prossimi 20 anni. Abbiamo un dovere istituzionale che va al di là del consenso».


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