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Gli oggetti sequestrati a Sestito

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CATANZARO – Non si esclude, in ambienti investigativi, che Massimiliano Sestito, il killer della ‘ndrangheta evaso una settimana fa dagli arresti domiciliari presso l’abitazione del padre a Pero, nel Milanese, dopo aver spezzato il braccialetto elettronico, e individuato nel Napoletano, fosse diretto in Calabria.

La sua rete relazionale, che gli avrebbe potuto garantire appoggi durante la latitanza, è soprattutto nel Soveratese, essendo lui originario di Gagliato, dove è considerato un esponente di vertice della criminalità organizzata locale. Del resto, nelle sue tasche c’era anche il documento del fratello minore Elvis, a lui molto somigliante, insieme a una somma di 1500 euro, contenuta in una busta di colore giallo su cui era scritto a penna l’indirizzo della Casa circondariale di Terni, l’ultimo penitenziario in cui era stato ristretto prima di ottenere i domiciliari per poi darsi alla fuga nell’imminenza della decisione della Corte di Cassazione sull’omicidio del boss Vincenzo Femia, commesso nel gennaio 2013 a Roma, in relazione al quale la Procura generale ha chiesto di confermare a Sestito una condanna all’ergastolo.

Quello che è certo è che lui non ha fiatato, al momento dell’arresto eseguito dai carabinieri del Nucleo investigativo di Milano e da quelli della Compagnia di Rho, entrati in azione in stretta collaborazione con i loro colleghi di Napoli, l’altra sera, alla stazione Circumvesuviana di Sant’Anastasia, dove aveva appena chiamato un taxi. Ha chiesto però di riavere le immagini sacre e un rosario che gli erano stati rinvenuti addosso, durante la perquisizione. La Madonna della Catena, patrona di Polistena e protettrice dei carcerati, santa Rita da Cascia e il volto di Gesù. Più il rosario.

La religiosità, un tratto caratterizzante di molti boss della ‘ndrangheta. Un aspetto che ha colpito gli investigatori, perché Sestito è uno che, oltre al processo che sta per definirsi in Cassazione – la sentenza è prevista per il prossimo 28 febbraio –  ha già scontato la pena di 30 anni per l’omicidio del carabiniere Renato Lio, compiuto a Soverato nel 1991. I militari, dopo avergli notificato un’ordinanza di aggravamento della misura cautelare, dai domiciliari al carcere, emessa su richiesta della Procura generale di Roma, non gli hanno però restituito i due telefoni cellulari e le due schede Usb, oltre ai 1500 euro circa in contanti che si era procurato chissà come.

Anche su questo si indaga, e non è azzardato ipotizzare che presto possa finire qualcuno nel registro degli indagati con l’accusa di favoreggiamento. Gli inquirenti ritengono che Sestito sia rimasto, durante il suo breve periodo di irreperibilità, nel Napoletano dove potrebbe aver goduto di appoggi. Cercava di rendersi irriconoscibile, mimetizzandosi tra la gente comune. Si era rasato, indossava occhiali spessi e aveva coperto un vistoso neo sulla guancia destra con un cerotto estetico. Del resto, Sestito è uno specialista delle fughe, avendo già fatto perdere le sue tracce, nell’agosto 2013, sfruttando il regime di semilibertà di cui beneficiava mentre scontava la condanna per il delitto Lio.

A lui i carabinieri sono arrivati ricostruendo la rete di rapporti costruita anche nell’ambiente carcerario e tramite intercettazioni. Qualcuno a lui vicino deve essersi tradito in qualche modo. Chissà, forse sarebbe rientrato in Calabria, al fine di garantirsi impunità, se non fosse stato pizzicato a Sant’Anastasia.

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