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Anna De Luca e i figli Alfredo e Salvatore Lio ricevono la cittadinanza onoraria di Soverato

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Il carabiniere Renato Lio assassinato dal killer, ora evaso, Massimiliano Sestito il giorno del compleanno del figlio. La moglie Anna De luca: «Come dobbiamo sentirci?»

CASTIGLIONE COSENTINO (CS) – «Quando ho appreso la notizia della fuga dell’assassino di mio marito è stato come se me lo avessero ucciso un’altra volta». Anna De Luca, moglie del carabiniere Renato Lio ucciso a 35 anni, la notte del 20 agosto 1991 a Soverato, mentre con un collega effettuava dei controlli sulla statale 106, al bivio Russomanno, non riesce a contenere la sua amarezza pensando a un assassino ancora in libertà. E per lei che ha vestito la divisa della Polizia, questa è una doppia sconfitta. Perché – lo sottolinea più volte – quando ci si trova davanti a persone che non hanno mai mostrato il minimo pentimento per gli omicidi di cui si sono resi responsabili, non si può essere leggeri, né possibilisti.

«Da allora non dormo più – continua Anna – perché io e i miei figli abbiamo pagato un prezzo altissimo e nessuno potrà mai ripagarci per quello che abbiamo perduto: l’amore di un marito e di un padre amorevole che ogni giorno metteva a rischio la propria vita per la sicurezza degli altri».

I sogni. Anna sapeva che sarebbe accaduto qualcosa che le avrebbe procurato una grande infelicità. Lo sapeva perché suo marito, che spesso le compare in sogno, qualche giorno prima della fuga di Sestito, le si era materializzato in una dimensione angosciante: era sepolto dietro un muro di mattoni e lei voleva a tutti i costi liberarlo ma non riuscendoci, si disperava fino ad urlare. «La mattina dopo – spiega – mi ritrovai addirittura senza voce». Ma non sempre Renato, che ancora oggi per Anna e i suoi figli è un modello di riferimento, le crea tanto turbamento.

«Io ho amato molto mio marito e l’ho sempre sentito vicino anche dopo la sua morte – ricorda -. Lui ha sempre fatto parte della mia esistenza. Qualche giorno prima del mio compleanno l’ho sognato di nuovo ma questa volta era sereno e mi ha resa molto felice. L’ho visto entrare in casa e buttarsi sul divano come aveva fatto tante volte. Io le sono corsa incontro e mi sono buttata ai suoi piedi. Lui, allora, ha iniziato a consolarmi e a dirmi che ero stata brava e che con i nostri figli avevo fatto un bellissimo lavoro. Quando ho raccontato tutto questo ai miei ragazzi, loro hanno subito pensato che Renato mi sia comparso in sogno perché voleva farmi gli auguri di buon compleanno».

Quanta vitalità e quanta forza c’è ancora nei familiari delle vittime innocenti di ‘ndrangheta che fanno fatica a comprendere scelte e leggerezze nei confronti di chi ha costretto le loro esistenze in una gabbia di eterno dolore. Ma non hanno mai cercato vendetta, né si sono mai accaniti verso chi ha sottratto loro un bene prezioso. La giustizia, però, quella sì, l’hanno sempre cercata e invocata. Ecco perché riconoscere benefici a chi li ha utilizzati per continuare a delinquere, è uno schiaffo alla loro sofferenza ed è nel contempo un esempio di impunità che non può che lasciare l’amaro in bocca.

«Come dobbiamo sentirci io e i miei figli davanti a questi fatti? – spiega Anna -. Io avevo 29 anni quando hanno ucciso Renato e i miei figli Alfredo e Salvatore 11 e 9 anni. Noi eravamo giovani, avevamo ancora tutta la vita davanti. Pensa, stavamo provando ad avere un altro figlio perché mio marito desiderava avere anche una bambina e ho sempre pensato che è morto portandosi dietro questo desiderio che non si è mai trasformato in realtà».

Renato Lio fu ucciso il giorno del compleanno di suo figlio Salvatore. A casa era già tutto pronto per la festa. Il carabiniere aveva già comprato un anello d’oro da regalare al suo bambino e la sera, insieme a un collega, iniziò il suo turno di lavoro. Fermarono una “Lancia Delta” bianca targata Milano con a bordo tre persone. Lio li fece scendere e chiese loro i documenti. L’uomo alla guida si chiamava Massimiliano Sestito e aveva 20 anni. Era nativo di Rho e residente a Pero, in provincia di Milano. Mentre controllavano via radio i nominativi, Lio si avvicinò ai fermati per procedere all’ispezione dell’auto. Ma Sestito spinse il carabiniere, si spostò verso il cassettino dell’auto, lo aprì e prese la sua pistola calibro 7.65 e iniziò a sparare contro di lui tre colpi in rapida successione. Lio venne colpito al cuore e a un polmone morendo all’istante. Sestito, inoltre, s’impossessò della pistola e della mitraglietta del sottufficiale e iniziò a sparare contro l’altro carabiniere che rispose al fuoco colpendo una gomma dell’auto. I tre, poi, si diedero alla fuga. Tutta la storia criminale di Sestito è costellata da fughe, ma questo non ha impedito, in sede di valutazione, di farne comprendere la reale pericolosità.

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