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Perquisizioni nel corso delle indagini

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CATANZARO – L’operazione “Petrol-Mafie Spa” (LEGGI) ha permesso di ricostruire gli interessi della ‘ndrangheta nelle province di Vibo Valentia, Reggio Calabria e Catanzaro, diventando una prosecuzione dell’operazione “Rinascita Scott”.

L’indagine è stata avviata nel giugno 2018 dalla Procura della Repubblica di Catanzaro, diretta da Nicola Gratteri, e si è incentrata sulle figure di alcuni imprenditori vibonesi, attivi nel settore del commercio di carburanti, ritenuti espressione della cosca Mancuso di Limbadi, nonché collegati alle articolazioni ‘ndranghetistiche sia della provincia di Vibo Valentia (Bonavota di S. Onofrio, gruppo di San Gregorio, Anello di Filadelfia e Piscopisani) che del Reggino (cosca Piromalli, cosca Italiano di Delianuova, cosca Pelle di S. Luca).

In particolare, sono stati accertati due sistemi di frode, riguardanti il commercio del gasolio, attraverso il coinvolgimento di 12 società, 5 depositi di carburante e 37 distributori stradali, elaborati, organizzati e messi in atto proprio dagli indagati. Ma a questo si abbina anche il progetto faraonico della cosca Mancuso che aveva avviato un progetto per realizzare una condotta sottomarina verso una grande cisterna galleggiante, da collocare al largo della costa vibonese.

LEGGI TUTTI I NOMI COINVOLTI NELL’OPERAZIONE

La lunga attività investigativa ha fatto emergere gravi indizi a carico di soggetti mafiosi che, grazie alla collaborazione di imprenditori titolari e gestori di attività economiche ubicate in Sicilia che operano nello stesso settore, avrebbero costituito, organizzato e diretto un’associazione per delinquere, con base in Vibo Valentia, finalizzata alla evasione dell’Iva e delle accise su prodotti petroliferi.

L’associazione avrebbe commesso innumerevoli reati fiscali ed economici: contrabbando di prodotti petroliferi, l’emissione e utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, l’interposizione di società “cartiere”, la contraffazione e utilizzazione di documenti di accompagnamento semplificati (Das), il riciclaggio, il reimpiego in attività economiche di proventi illeciti, l’auto-riciclaggio, il trasferimento fraudolento di valori e altri.

La frode con i prodotti petrolifero dall’estero

Il sistema di frode consisteva nell’importazione, perlopiù dall’est-Europa, di prodotti petroliferi artefatti (miscele) e oli lubrificanti, successivamente immessi in commercio come gasolio per autotrazione, con conseguenti cospicui guadagni dovuti al differente livello di imposizione.

I prodotti venivano, quindi, trasportati, con documentazione di accompagnamento falsa, nei siti di stoccaggio nella disponibilità dell’associazione, ubicati a Maierato, nel Vibonese, e Santa Venerina, nel Catanese, pronti per essere immessi sul mercato (sia fatturato che completamente in nero) come “gasolio per autotrazione”, categoria merceologica di maggiore valore, soggetta ad un’accisa superiore, con notevole margine di guadagno.

In tal modo, dal 2018 al 2019, sono stati movimentati circa 6.000.000 di litri di gasolio per autotrazione di provenienza illecita, cui corrisponde un’evasione di accisa pari ad euro 5.766.018,60. Inoltre, sono stati accertati episodi di omessa dichiarazione dell’Iva, con un’evasione pari ad euro 661.237,86, di emissione di fatture per operazioni inesistenti per euro 1.764.022,27, nonché di omesso versamento di Iva per euro 1.729.586,00.

La frode sul finto gasolio agricolo

Altro tipo di frode, riconducibile a una seconda associazione per delinquere, contemplava lo strumentale ricorso al deposito fiscale romano dalla società Made Petrol Italia Srl e sarebbe stata anch’essa promossa e organizzata a Vibo Valentia, con il contributo degli imprenditori vibonesi e con la partecipazione di indagati (soprattutto) romani e napoletani, a loro volta intranei ad associazioni camorristiche napoletane.

In questo caso, gli associati acquistavano dal deposito ingenti quantitativi di prodotto petrolifero, formalmente riportato sui documenti come “gasolio agricolo” e, quindi, soggetto ad imposizione di favore, movimentando in realtà vero e proprio “gasolio per autotrazione”, con consistente fraudolento risparmio di spesa ed elevatissimi margini di guadagno.

L’organizzazione perseguiva, così, l’obiettivo di evadere le imposte e, quindi, di lucrare illecitamente sul commercio, emettendo fatture per operazioni inesistenti, simulando la titolarità e gestione di società “cartiere” in capo terzi, utilizzando documentazione mendace, riciclando o reimpiegando, in attività economiche, denaro provento di attività illecita e così via.

Anche in questo ulteriore canale di contrabbando, peraltro, è risultata coinvolta una compagine catanese, legata a soggetti già implicati in precedenti attività investigative, quali imprenditori di riferimento delle famiglie mafiose di Catania dei clan Mazzei e Pillera.

In concreto, negli anni 2018 e 2019, attraverso questo sistema illecito, sono stati movimentati, rispettivamente, oltre 2.400.000 litri e oltre 1.900.000 litri di prodotto petrolifero, con un’evasione di accisa per euro 1.862.669,29 e un’evasione di Iva per euro 618.589,68 per omessa dichiarazione, oltre alla emissione di fatture per operazioni inesistenti per euro 249.826,97.

Nell’inchiesta è emerso anche il solido collegamento tra il gruppo vibonese e i gestori di un deposito fiscale, a Locri, dove i gruppi campani e siciliani avevano interesse ad avviare stabili commerci, al fine di sviluppare ulteriori e parimenti remunerative forme di frode.

Gli affari dei Mancuso

Nella rete di contrabbando di prodotti petroliferi e conseguente riciclaggio, poi, gravi indizi convergono sul coinvolgimento anche di esponenti di primo piano della cosca Mancuso, quali gestori (seppure per interposta persona) di impianti di distribuzione di carburante.

Ulteriore conferma della diffusività del fenomeno criminale investigato e della capacità di propagazione della cosca si rinvengono nel segmento investigativo che ha messo in luce il tentativo, sempre ad opera degli imprenditori vibonesi, inseeme agli esponenti apicali della famiglia Mancuso, di aprire nuovi canali di importazione di carburante direttamente in Calabria, mediante l’avvio di trattative col rappresentante di un importante gruppo petrolifero internazionale, appositamente giunto in Calabria.

È stato possibile, infatti, monitorare l’incontro nel corso del quale si trattava della realizzazione di un ambizioso progetto ingegneristico e commerciale, consistente nella realizzazione di un deposito fiscale-costiero di prodotti petroliferi, nell’area industriale di Portosalvo, da collegare, attraverso una condotta sottomarina, ad una grande cisterna galleggiante, da collocare al largo della costa vibonese.

Infine, l’indagine ha permesso di far luce sugli interessi della criminalità organizzata vibonese nel settore edile, nel quale sono forti gli indizi del totale controllo mafioso, da parte delle maggiori consorterie attive sul territorio (Mancuso, Bonavota, Fiaré, Razionale, Gasparro e Anello), soprattutto nelle forniture di calcestruzzo, per i maggiori cantieri all’opera nel territorio della provincia di Vibo Valentia.

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