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Quanto è accaduto ieri, dichiara la Cgil e il Segretario della Flai-Cgil di Vibo Valentia, «ci dimostra in tutta la sua drammaticità che nel nostro paese bisogna fare ancora tanto affinchè sui luoghi di lavoro si possa lavorare in sicurezza, senza restare coinvolti in incidenti o senza perdere la vita. Proponiamo un osservatorio Provinciale permanente per monitorare gli infortuni e le malattie professionali e sicurezza sul lavoro assieme a tutte le autorità competenti, enti datoriali e le OO.SS., affinchè si ci sia maggiore tutela e prevenzione in ambito lavorativo ed evitare che ci siano altri gravi incidenti nel futuro». «La lunga striscia – dice la Cgil – di sangue, si è incrementata ieri con la tragica morte avvenuta a Stefanaconi, che ha stroncato la vita ad un agricoltore di 58 anni. I numeri parlano chiaro: ogni 4 lavoratori, in media uno non termina mai la sua vita nel proprio letto in età avanzata, ma, come alcune storie inquietanti, da ultimo si muore perchè «stritolati dalle lame di acciaio del motozappa» o si muore « schiacciati sotto il proprio trattore percorrendo una strada scoscesa». E molti altri casi ancora.Ricordiamo qualche cifra. Al Sud, l’indice di incidenza dei casi di morte sul lavoro in base al numero di occupati è incredibile: in Campania il 26,7%, in Puglia il 33,1%, in Basilicata il 26,2%, in Sicilia il 23,9% e la Calabria col 37,5% diventa la seconda regione in Italia per numero di «morti bianche». Il lato interessante è che a volte, a incrociare altri numeri, si ottengono delle storie alquanto strane. Perchè la gente muore sul lavoro? E quali sono i lavori più a rischio? Il 27,5% di persone muore perchè caduta dall’alto, il 19,8% per un ribaltamento del veicolo o del mezzo oppure il 10,7% per la caduta, sempre dall’alto, dei gravi: pezzi di materiale che si staccano da gallerie, ponti e travi.I settori economici più a rischio sono principalmente raggruppati in due: agricoltura, ed edilizia. Ma quale è l’età di chi muore sul lavoro? I dati dicono che la fascia va dai 40 ai 49 anni (22,5%) e dai 50 ai 59 anni (22%) . E i lavoratori stranieri? Di questi, la maggior parte sono romeni (34%) e albanesi (25,5%).Ma i numeri sono soltanto numeri, quelle cifre prima erano persone, uomini e donne con una loro storia, costretti a lavorare otto – dieci ore di seguito, senza protezioni di sorta, o a manovrare macchinari con i sistemi di sicurezza disattivati, per aumentare la produttività; tutto questo in cambio di cosa? salari al minimo, e lavoro nero. La Cgil insieme con le categorie e l’Inca sono sempre stati e lo sono ancora oggi, in prima linea nella tutela e nella difesa delle regole su salute e sicurezza sul lavoro, affinchè i lavoratori non siano più esposti a morti bianche».

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