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Le bandiere al Quirinale

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Perché l’Italia è priva di una società civile che si fa sentire? Che ragiona da sistema Paese? Perché ci troviamo immersi nel mare procelloso del nuovo ’29 mondiale senza che l’impresa privata, il sindacato, la Chiesa abbiano alzato la voce non per chiedere questo o quello per loro, a volte a ragione a volte a torto, ma per pretendere che si apra un confronto pubblico sul progetto di rinascita del Paese? Perché non lo hanno elaborato loro?

Il problema di fondo è che una volta la società civile si esprimeva attraverso i partiti, oggi è frazionata in un circuito di micro-interessi tra loro conflittuali dove prevalgono gli egoismi miopi di pochi potentati regionali. Si è smarrita nei fatti l’idea di Paese. Una volta il Mulino di Bologna dialogava con “Nord e Sud” di Chinchino Compagna che parlava da Napoli all’Italia. Oggi la rivista meridionalista non c’è più e la casa editrice bolognese dialoga più con il mondo che non con il Mezzogiorno. Anche se molti dei loro autori sono tra i nostri editorialisti e questo qualcosa significa.

Perché non c’è mai stata un’edizione moderna dei convegni di San Pellegrino della Dc degli anni sessanta che diedero il via al primo centrosinistra riformatore con le relazioni dei Saraceno e degli Ardigò? Chi sono gli eredi di quest’ultimi? Dove si percepisce la stessa visione, la stessa idea cocciuta di Paese unito che vuole superare le sue diseguaglianze? Per piacere non mi citate le assise virtuali dei grillini e nemmeno quelle dei reggicoda del Pd di qualche anno fa a Bologna. Evitiamo di farci ridere addosso.

Vogliamo essere brutali. Quando il trentino De Gasperi, Campilli, Menichella e qualche altro illuminato vollero la Cassa per il Mezzogiorno, la preoccupazione ossessiva dei dossettiani fu che non dovesse finire nelle mani dei democristiani del Sud che erano di certo molto meglio dei loro successori ma un po’ a ragione un po’ per pregiudizio già facevano paura. Anche Moro si schierò contro il controllo della Cassa da parte della Dc meridionale perché a suo avviso sarebbe stata la morte consegnare quella cassa nelle loro mani. Va a tutti loro il merito di avere preservato l’autonomia di uno strumento di sviluppo che permise di raddoppiare il prestito Marshall e contribuì come nessun altro al miracolo economico italiano.

Ad attuarlo, però, almeno ricordiamocelo, fu un magistrato irpino, Gabriele Pescatore, e una classe dirigente di tecnici, ingegneri e uomini del fare quasi tutta composta da meridionali. Mentre la Dc discuteva se dovessero avere più spazio il partito o il governo dentro quella Cassa, l’irpino Pescatore e il siculo-valtellinese Saraceno fecero muro contro l’uno e contro l’altro. La politica, avendola, si fermò suo malgrado o per intelligenza alla visione. Non uscì mai dal suo seminato di elaborare e di dare una missione. Non si occupò mai della gestione. Che fu invece molto rispettosa di quella missione politica e fu capace di attuarla in anticipo rispetto ai tempi prestabiliti.

Purtroppo, oggi viviamo i tempi della gestione del conflitto di interessi che non c’entra con la politica ma la occupa svilendola. Questa stagione decadente è la figlia naturale del declino di tutte le filiere di formazione delle classi dirigenti italiane. Il ‘68 le ha sbaraccate quasi tutte.

La seconda ondata del 76/77 ha finito di “fare pulizia” privando il Paese anche dei pochi luoghi sopravvissuti di questi centri di elaborazione delle idee e di formazione delle classi dirigenti del futuro. È sparito tutto: il confronto, la formazione, lo scontro delle idee, la selezione e il reclutamento dei migliori dentro la fedeltà politica o fuori di essa. Così si sono spente quasi naturalmente la capacità creativa italiana, l’ambizione di pensare per il medio e il lungo termine non per il breve, l’intelligenza diffusa di anticipare il futuro. In una parola si sono perse la visione d’insieme e la capacità di progettarla.

Oggi avere la visione significa recuperare il Mezzogiorno per consentire all’Italia di recuperare se stessa. Non ci sono più alibi. Non si può continuare a dire che la crisi di questa classe dirigente viene da lontano e deflagra perché sono scomparsi tutti gli spazi aperti in cui si ragionava pensando al domani prima dell’oggi. Che sono venuti meno i cenacoli intellettuali capaci di parlare alla testa e alla pancia del Paese. Il risultato è che nulla viene più dibattuto, magari aspramente combattuto, nell’arena delle idee, ma piuttosto si preferisce fare tutto sott’acqua, al coperto, possibilmente di nascosto.

Il Recovery è l’ultima occasione che questa classe politica ha per riscattarsi e fare bene ciò che serve. Per dire con chiarezza e condividere l’operazione verità lanciata da questo giornale che impone di uscire in fretta dal federalismo della irresponsabilità per perseguire con le parole e con le azioni la riunificazione infrastrutturale immateriale e materiale delle due Italie. Su questi punti saremo come i giocatori di poker che vanno a vedere sempre. Non si può fare finta di cambiare le cose, ma bisogna cambiarle per davvero.

Quello che è sotto gli occhi di tutti non lo dimenticheremo mai più. Le ambiguità di comportamento di una maggioranza politica che sul disegno di recupero del Mezzogiorno è prodiga a parole, ma incerta e a tratti inconcludente nei fatti. Fa più di quanto si è fatto prima, giusto darne atto, ma basta? No. Che cosa dire di chi non molla per nessuna ragione al mondo la cassa rubata come i potentati regionali del Nord di sinistra e di destra riuniti in un patto di ferro? E il silenzio assordante di tutti quelli che avrebbero voce in capitolo per farsi sentire e non lo fanno?

Che cosa dire di un’opposizione sovranista che mette becco su tutto ma non mette mai a fuoco la priorità competitiva della rinascita italiana che è il riequilibrio territoriale? Perché tutti, troppi, fanno orecchie da mercante anche quando l’Europa stessa vincola gli aiuti a fondo perduto proprio alle regioni svantaggiate? Siccome è in gioco il futuro dell’Italia a partire dalle nuove generazioni, questo giornale non farà sconti a nessuno. Maggioranza e opposizione la smettano di muoversi come funamboli sulla corda spezzata del Paese e impegnino ogni energia per scegliere pochi progetti buoni e studiare le modalità esecutive che servono per fare le cose. Avendo bene in mente la priorità. Che è una. Recuperare il Mezzogiorno per consentire all’Italia di recuperare se stessa.


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