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VIBO VALENTIA – No, non fu omicidio. Perché Simona Riso, al sorgere del sole, salì sul terrazzo e decise di lasciarsi cadere nel vuoto. Nessuno la picchiò, nessuno la spinse. Nessuno abusò di lei, almeno all’alba del 30 ottobre scorso. Il procuratore aggiunto di Roma Pierfilippo Laviani e il pm Attilio Pisani, sulla scorta degli elementi acquisiti dai carabinieri e dai consulenti, abbandonano la pista del delitto volontario. Perché fu suicidio, seguito da un caso di malasanità. Il giallo di Roma e della ventottenne di San Calogero deceduta al San Giovanni dopo il volo in via Urbisaglia, non è però finito. Perché c’è il passato da chiarire, l’origine del male dentro, della bestia nel cuore, da cercare non più a Roma ma a San Calogero, il paese dal quale la bella receptionist approdata nella Capitale era partita in cerca di fortuna e per dimenticare. E’ qui, a San Calogero, che Simona – è emerso nel corso delle indagini della Procura capitolina, la quale ha acquisito anche le cartelle dei trattamenti psicoterapeutici sostenuti dalla ragazza in passato – avrebbe subito le violenze di una persona a lei molto vicina e della quale si fidava. Per questo motivo parte degli atti delle indagini potrebbe transitare a breve alla Procura di Vibo Valentia, che sarà chiamata a fare chiarezza su quei traumi che avrebbero devastato l’esistenza di Simona fino a spingerla al suicidio. La notizia è rimbalzata sui tg nazionali, ma il procuratore capo di Vibo Valentia non conferma. «Al momento non ho avuto contatti con i colleghi di Roma – spiega Mario Spagnuolo -. Né attendo, al momento, l’arrivo di atti. Se dovessero arrivare? Faremo il nostro dovere, noi non ci risparmiamo mai».

Una drammatica vicenda, quindi, che appare comunque destinata a dividersi su due fronti: il motivo che condusse la giovane al suicidio, a Vibo, le responsabilità per il suo decesso, a Roma. Qui, nella Capitale, è in sospeso la posizione di due medici del San Giovanni, che all’arrivo della ventottenne in ospedale si sarebbero preoccupati di verificare presunte tracce di violenza sessuale, trascurando invece le più gravi lesioni al torace che avrebbero condotto Simona ad una fatale insufficienza respiratoria. Era stata soccorsa nei giardinetti di via Urbisaglia, dolorante ma cosciente; i medici sull’ambulanza le chiesero se avesse subito violenza sessuale e lei rispose «sì» prima di chiudersi nel silenzio. Gli investigatori ritengono che il presunto stupro, del quale diede conferma ai medici del 118 con quel cenno, sia realmente avvenuto ma in passato, origine del disagio psicologico che l’ha accompagnata fino al salto nel vuoto. Poi l’arrivo in codice rosso e, tre ore dopo, la morte. Aveva il corpo straziato da ferite che sarebbero divenute letali, ma sottovalutate, forse ignorate. Errori «gravi», secondo il docente di Medicina legale alla Sapienza Giorgio Bolino che eseguì l’autopsia. Un aspetto, l’errato approccio alla paziente, che sarebbe emerso documentalmente anche dalle attività di polizia giudiziaria delegate ai carabinieri e, in particolare, dalla cartella clinica posta sotto sequestro.

E’ emblematico, secondo gli inquirenti, un aspetto: per Simona, giunta in ospedale in quelle condizioni, era in corso un conto alla rovescia e, proprio mentre la situazione precipitava, constatato il suo silenzio, sarebbe stata indirizzata dallo psicologo…

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