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Pina Picierno

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DOPO la morte di David Sassoli, il 18 gennaio scorso il Parlamento europeo ha eletto presidente la maltese Roberta Metsola. Ad affiancarla fino al 2024 ci saranno 14 vicepresidenti: per l’Italia c’è l’eurodeputata del Partito Democratico, Pina Picierno, arrivata seconda per numero di preferenze (527) dopo Othmar Karas del Ppe. Nativa del Casertano, 40 anni, è la prima campana a rivestire un ruolo di vertice nel Parlamento europeo.

Il nostro Mezzogiorno si gioca tutto con il Pnrr. Ora o mai più.

«Sul nostro Piano di Ripresa e Resilienza l’iniziale entusiasmo dei primi giorni già sembra esaurirsi di fronte alle prime difficoltà. Forse poco cauto il primo, certamente sbagliato il secondo».

Quindi cosa facciamo?

«Partiamo da quello che è certo, da quello che difficilmente può essere messo in discussione. Le risorse del Pnrr rappresentano l’opportunità per una svolta strategica per il paese e in particolare per il Mezzogiorno. Non v’è dubbio che una tale quantità di risorse, il cui vincolo di destinazione territoriale è stato stabilito in una percentuale pari al 40%, possa ragionevolmente contribuire a sanare la ferita ormai secolare che taglia in due il Paese. Tutto ciò però è legato a vari aspetti dirimenti. Il primo è che non dobbiamo dimenticare che il Pnrr fa parte di un insieme di misure che l’Ue ha promosso per gli stati membri. Viene gravemente sottovaluto per esempio l’impatto che queste risorse possono avere sui nostri territori in combinazione con le risorse ordinarie della nuova programmazione 2021/2027. Così come è gravemente sottovalutata la strategia di fondo del Piano, che è da intendersi essenzialmente come un contratto di performance e non solo come un programma di spesa, introducendo indicatori con cui non avevamo in larga parte consuetudine. Altro aspetto fondamentale sarà la capacità delle università e dei grandi player nazionali dell’impresa di corroborare il fragile tessuto imprenditoriale meridionale, rendendolo capace di raccogliere in sinergia la sfida».

La preoccupazione di poter sprecare una opportunità storica c’è per il Mezzogiorno…

«Bisogna eludere il rischio – purtroppo dietro l’angolo – che i bandi in cui è coinvolto il Mezzogiorno vadano deserti e che sui territori e presso gli enti locali non vi siano le adeguate professionalità per “mettere a terra” i progetti e per farli decollare. I bandi rivolti agli enti locali, come per esempio per gli asili, rischiano di andare troppo a rilento e in maniera disomogenea, non centrando i fabbisogni in maniera razionale ed equanime. Non possiamo rischiare di trasformare il Pnrr da occasione storica a boomerang. Né quest’occasione deve essere intesa banalmente come una competizione tra territori. La vastissima dotazione finanziaria non significa che i soldi si trasformino automaticamente in servizi, cantieri, opere. Servono innanzitutto le adeguate risorse umane, dotate di adeguate competenze. Il blocco del turnover ha sfiancato le pubbliche amministrazioni, le ha ridotte all’osso, in particolare nel Mezzogiorno, con un’età media che supera i 54 anni».

Secondo Lei, come è possibile “tutelare” il Sud preservando le risorse europee destinate per una svolta irripetibile?

«Non riuscire a spendere i fondi è un pericolo concreto, che bisogna contrastare con un’azione di monitoraggio permanente. Secondo il report annuale che viene fatto dalla Corte dei Conti Europea, nel 2020 l’Italia si è collocata sull’ultimo gradino del podio in Europa nella capacità di spendere i soldi comunitari. Il dato emerge appunto dall’ultima relazione annuale della Corte dei conti europea sull’esecuzione del bilancio Ue. L’Italia – evidenziano i dati raccolti dai revisori – non ha speso 25 miliardi e 166 milioni di euro di fondi Ue che le spettavano per il periodo 2014-2020. Bisogna partire dall’analisi di questo trend negativo per invertirlo».

Quello degli asili nido è uno dei servizi in cui nel nostro Paese, da sempre, si registrano maggiori disparità, tra Nord e Sud e tra piccoli e grandi comuni…

«Si tratta di un fenomeno che impatta pesantemente sulla sfera educativa e che incide strutturalmente a livello sociale, gravando sulle donne e sulla conciliazione con i tempi di lavoro. Occorre ricordare che l’obiettivo minimo europeo è di 33 posti ogni 100 bambini e tale target misura plasticamente l’entità del gap. Sulla base dei dati elaborati dall’Alleanza per l’Infanzia, a fronte di un centro-nord che ha quasi raggiunto l’obiettivo europeo (32%) e dove in media 2/3 dei comuni offrono il servizio, nel Mezzogiorno i posti ogni 100 bambini sono solo 13,5, e il servizio è garantito in meno della metà dei comuni (47,6%). Senza dimenticare che proprio questa carenza di asili nido alimenta il fenomeno degli anticipatari nel Sud. In Italia sono circa 70mila i bambini che all’età di 2 anni frequentano già la scuola dell’infanzia. È da questa fotografia che bisogna partire per attuare una programmazione, con annesso monitoraggio, che consenta di far crescere progressivamente l’offerta educativa al Sud. I finanziamenti del Pnrr, da soli, appaiono come condizione necessaria ma non sufficiente. Occorre che i bandi vengano costruiti e sviluppati in modo funzionale, eludendo il rischio molto italiano che vadano deserti. Contestualmente serve il capitale umano per renderli operativi nelle varie articolazioni, altrimenti si bloccheranno in ogni passaggio per la mancanza delle necessarie competenze. Bisogna in sostanza superare la logica secondo cui a un dato numero di risorse finanziarie corrispondano i relativi asili nido. Vi è un intero sistema, un iter attuativo su cui concentrarsi e che costituisce la sfida più complessa e più importante da vincere».

È innegabile che queste ingenti risorse facciano gola alle organizzazioni criminali. Come va contrastata questa ingerenza dei clan?

«L’azione di monitoraggio sul pieno utilizzo dei fondi del Pnrr al Mezzogiorno deve costituire una priorità politica di questo Governo. Allo stesso tempo bisogna mantenere altissima attenzione verso il rischio di infiltrazioni nell’utilizzo dei fondi del Pnrr e nel relativo sistema di appalti. Un monito già lanciato con forza dal Procuratore Nazionale Antimafia Federico Cafiero de Raho. Gli strumenti di controllo ci sono, bisogna utilizzarli con puntualità, per evitare che ancora una volta i fondi pubblici vengano inquinati dall’attività delle organizzazioni criminali».

In concreto cosa propone su questo fronte?

«Si devono accompagnare tutte le fasi del Piano con la costruzione di patti sui singoli territori e sugli obiettivi, vere e proprie cabine di monitoraggio permanente su efficacia bandi, dotazione risorse umane, evoluzione progetti. Patti che coinvolgano Governo, imprese, università, sindacati ed enti locali, sulla scia di quanto già accennato da Luigi Sbarra, segretario generale della Cisl. Patti che sviluppino un controllo analitico sui traguardi da centrare, un cronoprogramma strutturato per ogni area territoriale e settore con scadenze agganciate alle modalità operative per rispettarle. Un patto che metta a sistema tutte le parti e i soggetti coinvolti, per dotare il Mezzogiorno di tutte le strutture e infrastrutture utili a una profonda capacità di spesa e al monitoraggio collegiale delle performance».

Sa bene, però, che gli enti locali hanno difficoltà. Da un lato c’è ottimismo per l’arrivo di fondi, dall’altro c’è preoccupazione nel saperli e poterli spendere…

«Gli amministratori locali hanno già denunciato da tempo i fattori strutturali che rischiano di bloccare una nuova stagione di crescita. È necessario ascoltare tempestivamente il grido d’allarme da chi ogni giorno guida gli enti locali e il sostegno offerto in assistenza non sembra, almeno al momento, effettivamente sufficiente. Tutti temi sollevati e affrontati con cognizione dalla Ministra Mara Carfagna, sempre in prima linea su questi temi, ma che necessitano dell’assunzione di responsabilità collettiva delle classi dirigenti meridionali. E servono, non mi stancherò mai di ripeterlo, alcune riforme, già previste dal Piano, che consentano di modificare dalle fondamenta la capacità di attrarre investimenti e di rendere più equa la nostra società, specie nel Mezzogiorno. Mi riferisco in particolare ad alcune di esse, fisco e giustizia sopra tutte, che sono state appena accennate, ma di cui si ha bisogno almeno quanto le risorse».


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