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Non sono mancate in passato e non mancheranno neanche questa volta polemiche sulle pronunce della Corte costituzionale sulla ammissibilità dei referendum sottoposti al suo giudizio. È inevitabile che sia così. I comitati promotori di ciascun quesito referendario, dopo aver raccolto almeno cinquecentomila firme, vedono vanificata la loro richiesta e impedito il voto popolare in caso di inammissibilità. Chi vi si oppone ritiene, in caso di ammissione, che siano superate le soglie poste dalla costituzione al referendum, che il nostro sistema prevede solamente per la abrogazione totale o parziale di una legge. Non dunque per introdurre principi e norme nuove, né per dare un indirizzo e vincolare il Parlamento per una riforma da fare.

Uno dei nodi già affiorati nella immediatezza delle decisioni della Corte riguarda la sua complessiva giurisprudenza. Vale a dire che la inammissibilità di referendum sia dichiarata in casi diversi da quelli previsti dall’articolo 75 della costituzione: leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. In realtà la Corte non ha creato nuovi requisiti di ammissibilità da aggiungere a quelli espressamente indicati, ma li ha individuato dalle caratteristiche proprie del referendum abrogativo.

Per ricordarne alcune: la domanda posta con il quesito referendario, alla quale si risponde con un si o con un no, deve essere chiara, omogenea ed univoca, perché chi vota può essere d’accordo per parti di essa e contrario per altre; il quesito deve essere chiaro nel suo contento e non introdurre, mediante la eliminazione di parole in varie parti della legge, nuove norme che trasformerebbero il referendum da abrogativo in propositivo, quest’ultimo non previsto dalla costituzione; inoltre non deve portare alla abrogazione di norme costituzionalmente necessarie.

In questo quadro vanno collocate le attuali decisioni della Corte, che deve garantire il rispetto della costituzione anche nei limiti che essa pone all’istituto del referendum, senza fare la caccia all’errore e senza chiudere gli occhi per opportunità politica. Tenere conto dei criteri prima indicati può aiutare a comprendere le ragioni, non rimesse all’arbitrio della Corte, per le quali alcuni dei referendum proposti sono stati dichiarati ammissibili ed altri no.

È esemplare la inammissibilità del referendum sulla abrogazione parziale dell’articolo 579 del codice penale, che punisce l’omicidio del consenziente, perché, come riferisce un comunicato della Corte, “non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana”. L’effetto della abrogazione non sarebbe stato la introduzione dell’eutanasia, come si è spesso affermato, ma l’omicidio senza alcuna garanzia, quali la verifica della volontà, rispetto ad un atto irreversibile, delle condizioni della persona, delle modalità di esecuzione. Ne sarebbe risultata vanificata anche la sentenza della Corte n.242 del 2019, che ha ammesso l’aiuto al suicidio in casi circoscritti e con specifiche garanzie. La necessità costituzionale di assicurare almeno una tutela minima della vita umana risponde a un principio, già affermato dalla Corte costituzionale e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, per il quale dal diritto alla vita, garantito dall’art. 2 della Costituzione e dall’art. 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, non può derivare il diritto di rinunciare a viverre e un vero e proprio diritto a morire.

Il referendum sulle sostanze stupefacenti, dichiarato anch’esso inammissibile, non riguardava solamente la cannabis, come diffusamente è stato detto, ma comprendeva la coltivazione di droghe pesanti, con l’effetto di violare obblighi internazionali, i quali costituiscono un limite costituzionale esplicito alla ammissibilità di un referendum abrogativo.

Egualmente inammissibile il referendum sulla responsabilità civile diretta dei magistrati, non filtrata dallo Stato tenuto a risarcire il danno ingiusto subito dal cittadino per un atto della sua giurisdizione. Si può ritenere che ne sarebbe risultata la introduzione di un nuovo meccanismo di responsabilità, tra l’altro con il rischio di incidere sulla imparzialità del magistrato rispetto alla forza delle parti in giudizio. Dei cinque referendum ammessi in materia di giustizia, due riguardano la legge Severino e la automatica sospensione dalla carica o la incandidabilità a seguito di condanna penale, e la abrogazione di alcune misure cautelari in pendenza di procedimento penale. Altri riguardano aspetti di minore impatto, quali la eliminazione dei presentatori per le candidature alle elezioni del Consiglio superiore della magistratura (CSM), o la partecipazione dell’avvocatura ai Consigli giudiziari. Di maggior rilievo la separazione delle funzioni dei magistrati giudicanti e del pubblico ministero, che indica una prospettiva e non giunge ad una separazione delle carriere, per la quale sarebbe necessaria una revisione costituzionale.

Le motivazioni delle sentenze, la cui pubblicazione sarà sollecita, consentirà di comprendere il percorso logico seguito dalla Corte nell’analizzare quesiti, alcuni estesi e complessi. Probabilmente non tutti quelli ammessi condurranno al voto. Alcuni, in particolare con riguardo all’ordinamento giudiziario e al CSM, saranno assorbiti prima del voto da riforme presentate in Parlamento, accelerandone l’esame e l’approvazione.


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