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Roberto Calderoli

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Il testo-provocazione del ministro pro tempore Calderoli va riscritto totalmente in radice. Perché la ragione politica della maggioranza di governo è la perequazione da attuare nella soddisfazione dei diritti di cittadinanza prima di attribuire nuove funzioni alle Regioni. Calderoli ha tirato i remi in barca e il suo pasticciaccio si inserisce in una battaglia che parla agli elettori del Nord per dire “noi e non Fratelli d’Italia sventoliamo la bandiera dell’autonomia”. È un “gioco sporco”che esce dai binari concordati del programma di governo dove autonomia differenziata e presidenzialismo procedono parallelamente. Abbiamo il dovere di ricordare a lui che il calendario della Lega non coincide con il calendario dei bisogni del Paese. Terremo sempre molto alta la guardia perché il ministro Calderoli politicamente messo sotto tutela dalla premier Meloni resti ben stretto in questa condizione che è l’unica che consente di mantenerlo nella compagine di governo. Perché ha violato gli obblighi di lealtà a cui è vincolato un ministro quando entra a fare parte di una compagine di governo

Non avevamo dubbi, ma siamo soddisfatti che le cose sono andate proprio come questo giornale riteneva che dovessero andare con urgenza assoluta. Avevamo chiesto di mettere sotto tutela diretta della Presidenza del Consiglio il ministro Calderoli e il suo progetto incostituzionale di riforma dell’autonomia differenziata ed è esattamente quello che è avvenuto. Bisogna riconoscere che la guida politica di governo di Giorgia Meloni si misura con i problemi in modo pragmatico e facendo sentire la sua presa strategica. Apprezziamo, soprattutto, che i temi quando diventano cruciali perché toccano le fondamenta della Repubblica e assumono la fisionomia di insidia grave per la credibilità internazionale del Paese e la tenuta del suo equilibrio sociale, questa mano ferma si fa puntualmente sentire.

È stato unanime il riconoscimento che i livelli essenziali di prestazione (Lep) che restituiscono a chi ne è stato brutalmente derubato gli elementari diritti di cittadinanza nella scuola come nella sanità oltre che nel trasporto pubblico locale, dovranno essere varati prima di qualsiasi ipotesi di trasferimento di funzioni a questa o quella Regione. Perché lo Stato è ancora unitario e l’Italia non è una Repubblica federale.

Il testo-provocazione del ministro pro tempore Calderoli va riscritto totalmente in radice. Perché la ragione politica non discutibile della maggioranza di governo di cui fa parte è che la perequazione da attuare non riguarda solo le infrastrutture materiali e immateriali – obiettivo prioritario del Piano nazionale di ripresa e di resilienza concordato in Europa – ma riguarda addirittura prima la soddisfazione dei diritti fondamentali. Che attengono ai beni comuni di una comunità nazionale e influenzano in modo decisivo la qualità territoriale della sua economia oltre che la coesione sociale del Paese. Questo giornale ha condotto per tre anni questa battaglia all’inizio in assoluta solitudine e vede oggi confermate le ragioni della denuncia di uno squilibrio patologico nei trasferimenti pubblici ai singoli territori che riguardano Nord e Sud ma anche Nord e Nord.

Tutto ciò ci permette di insistere oggi su un tasto che è preliminare a qualsivoglia progetto di crescita strutturale del Paese intero e di sostenibilità duratura del suo pesantissimo debito pubblico. Lo stesso ministro ha tirato immediatamente i remi in barca ed è ormai evidente a tutti che la sua rocambolesca sortita era consapevolmente finta. Perché va inserita dentro una battaglia politico-elettorale all’interno della maggioranza di governo e perché è di impossibile attuazione ad horas per i vincoli di finanza pubblica dettati dal quadro di crisi del resto del mondo essenzialmente di origine bellica. È evidente che la sortita maldestra del ministro Calderoli parla a un mondo di ieri che non esiste più, ma persegue comunque l’obiettivo politico di dire agli elettori del Nord che sono solo loro a sventolare la bandiera dell’autonomia differenziata, non Fratelli d’Italia.

È un gioco oggettivamente sporco che è stato smascherato e che rivela, purtroppo, quanto sia di corto respiro l’azione dell’alleato leghista che non esita per velleitarie ragioni di bottega ad andare fuori dai binari concordati del programma di governo dove è scritto con chiarezza che autonomia differenziata e riforma presidenzialista o semi presidenzialista devono procedere parallelamente secondo i canoni obbligatori che appartengono alle riforme costituzionali.

Siamo soddisfatti perché la linea del nostro giornale, che risponde all’interesse generale, è oggettivamente prevalsa, ma abbiamo anche il dovere di avvertire che il rischio pasticciaccio esiste ancora perché anche il vincolo politico della Lega esiste ancora. Salvini, Calderoli, Zaia, con toni e sfumature differenti, hanno tutti l’esigenza di fare approvare entro l’anno prossimo la legge quadro dell’autonomia differenziata per potere approvare le prime intese regionali all’inizio del 2024 in modo da avere il loro trofeo elettorale da spendere alle elezioni europee e consentire a Salvini di togliersi lo schiaffo subìto alle politiche da Fratelli d’Italia perfino nelle sue roccaforti lombardo-venete.

Non siamo affatto convinti che questi teatrini fuori dalla Costituzione e dal realismo responsabile che oggi il Paese chiede possano portare voti alla Lega. Comprendiamo, però, che la molla di tanta dissennatezza da parte di Calderoli risponda solo a questa distorta esigenza, ma abbiamo anche il dovere di ricordare a lui e a chi lo spinge che il calendario della Lega non coincide con il calendario dei bisogni del Paese. Prima lo capiscono e se ne fanno una ragione meglio è.

Noi terremo sempre molto alta la guardia perché il ministro Calderoli politicamente messo sotto tutela dalla premier Meloni resti ben stretto in questa condizione che è l’unica che ancora consente di mantenerlo nella compagine di governo. Perché ha davvero esagerato nella forma e nella sostanza, violando tutti gli obblighi di lealtà a cui è vincolato un ministro nel momento in cui entra a fare parte di una compagine di governo.


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