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Impianti petroliferi

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Il 5 febbraio scorso è scattato l’embargo dell’Unione Europea sui prodotti russi ottenuti dalla raffinazione del greggio. L’Europa e l’Italia in particolare importano distillati intermedi, tra cui diesel da autotrasporto e olio combustibile. La capacità di raffinazione europea è sufficiente a soddisfare la domanda di distillati leggeri (benzine); ma, pur avendo un eccellente rendimento nella raffinazione del diesel, le raffinerie del Vecchio Continente non hanno capacità sufficiente a soddisfare il mercato.

Ogni raffineria ha una sua configurazione che la rende più o meno adatta a raffinare determinati greggi e a ricavarne diversi prodotti. Di lì un vincolo sia di approvvigionamento, sia di produzione. Il divario è grosso modo di 1,3 milioni di barili al giorno; che l’Europa, al netto del contributo del biodiesel, colma attraverso l’importazione. Le importazioni dalla Russia si sono a loro volta attestate negli ultimi anni oltre i 600mila barili al giorno che equivalgono grosso modo a un decimo dei consumi europei.

Qual è il problema? Con il gas dovevamo rimpiazzare un 30%; e qui solo un decimo e il prodotto viaggia per navi e non dovremmo avere problemi di infrastrutture di sbarco. In realtà rimpiazzare quel decimo non è semplice; e questo perché, tanto per cambiare, la sanzione va ad atterrare su un mercato già ristretto e che già nel 2022 per tener botta ha dovuto attingere alle scorte. All’inizio di ottobre 2022 le scorte americane di distillati erano al livello stagionalmente più basso dal 1982 (che fu peraltro il primo anno in cui si fecero carico di rilevazione statistica); e quelle europee al minimo dal 2004.

Le lezioni del passato

Come sempre, il mercato reagisce all’annuncio e cerca di anticipare l’evento. Così succede che da qualche mese il distillato per autotrazione meno pregiato (il gasolio) venda a premio su quello più leggero (la benzina); e che gli operatori facciano scorta in vista dell’embargo (abbiamo toccato gli 800mila barili al giorno  di importazione dalla Russia) contribuendo alla pressione sul prezzo. Storicamente il barile di diesel ha quotato intorno al 120% del prezzo del greggio. Oggi il Brent è poco sopra gli 82 dollari e il diesel quota sopra i 115. La forbice si è sensibilmente allargata

E adesso? Un po’ di scorta l’abbiamo fatta e la Cina ha appena e benevolmente raddoppiato i volumi di cui consente l’esportazione. Il problema non è di scarsità assoluta. L’Europa ha insegnato al mondo, facendo esplodere il prezzo del gas lo scorso agosto che quando un bene è scarso, basta comunque pagare più degli altri per approvvigionarsene. Il problema non sono i volumi, è e sarà il prezzo.

Il diesel, come lo definisce John Kemp, è il cavallo da tiro dell’economia. Difficile capire come possiamo sperare in un ristoro delle scorte e nella discesa  del prezzo se non al costo del rallentamento di ciò che tira. E sarà difficile aumentare o anche solo mantenere il passo senza che il suo prezzo, almeno nel breve e medio periodo,  resti in tensione e finisca per tirare più inflazione che economia. È sperabile che dalla lezione del gas qualcosa si sia imparato.

Il diesel è comunque, come il petrolio, mobile. E in fin dei conti la Russia il suo lo deve vendere, magari finendo per riequilibrare il mercato. L’Ue si sta specializzando ad applicare prezzi massimi a merci che comunque non si possono acquistare, perché sotto embargo. E, a volte, colta da una forma di resipiscenza, vorrebbe tornare indietro, ma non vuole perdere la faccia. Così, il vice primo ministro russo Alexander Novak ha detto nei giorni scorsi che le mosse dell’Unione europea per aggiungere “deroghe” al tetto ai prezzi dei prodotti petroliferi dimostrano che il greggio russo è ancora richiesto. “Questo sottolinea ancora una volta che i nostri prodotti petroliferi sono richiesti in Europa, ancora una volta i politici europei hanno mostrato che le loro azioni sfidano qualsiasi logica e prendono tali decisioni e pensano a come uscire da questa situazione”, ha aggiunto. Naturalmente i Paesi che non applicano l’embargo in effetti possono comprare al prezzo che vogliono. E non sono pochi. Il 2 marzo 2022 la sessione d’emergenza dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione che condannava l’invasione russa dell’Ucraina. I Paesi che hanno votato a favore sono 141. Quattro hanno votato contro (Siria, Bielorussia, Eritrea e Corea del Nord) e 35 si sono astenuti.

Ora, per i carichi venduti a prezzo superiore al Cap è fatto divieto agli operatori europei di fornire i servizi ausiliari (in particolare shipping e copertura assicurativa). Ai russi abbiamo in pratica (e semplificando) tolto con le sanzioni finanziarie la possibilità di credito e di transazioni in dollari condotte attraverso banche occidentali. Adesso gli rendiamo più difficile trasportare e assicurarsi.

Limiti di embargo e tetto al prezzo

Mosca dovrà trovare alternative. Se non sarà immediato, comunque, le potrebbe in buona parte essere progressivamente possibile. Ci vogliono navi proprie e la Russia si sta organizzando per allestire una flotta; un circuito assicurativo proprio e accettabile ai porti di destinazione (e già succede); e magari una diversa valuta di riferimento (potrebbe usare lo yuan, la moneta cinese). Nel mentre riequilibra e si arrangia. A qualche carico fa fare carico e scarico offshore in acque internazionali. Se controlla assicurazione e shipping prezza Fob (cioè senza comprendere i costi del nolo né le altre spese accessorie per portare la merce a destinazione) così da rispettare il Price Cap e per recuperare almeno in parte ci carica il prezzo Cif (che comprende le spese per l’assicurazione e il trasporto) includendo così noli e premi multipli rispetto al mercato. Magari a volte offusca provenienza e/o destinazione. L’importante è che non gli manchi il mercato, e in Asia, soprattutto a sconto, il diesel russo è più che bene accolto.

La triangolazione possibile

Sono gli stessi europei, del resto, ad aprire un’autostrada alla Russia per fare del Cap un colabrodo. Se un Paese acquista greggio dalla Russia  e lo raffina – così prevedono le regole di embargo – è poi libero di riesportare i prodotti a prezzi di mercato. Regola tra l’altro realistica: se compro diesel dalla Cina normalmente non mi arriva compreso di certificazione del greggio di origine. Ma così facendo si apre alla possibilità che alla luce del sole e usando navi greche e assicuratori londinesi si possa vendere, ad esempio in India, greggio russo a 50 dollari al barile e riesportare il diesel a 120 dollari. Mettete il tutto nelle mani di un trader appena sveglio e l’accordo tra Russia e india o con altri Paesi è scontato. O in alternativa fate a meno del trader e lasciate fare direttamente ai russi visto che  la raffineria di Nayara, nei pressi della città indiana di Mumbai, è di fatto controllata dal gigante russo Rosneft e da poco partecipata perfino da un’impresa italiana: Mareterra Group Holding, che attraverso un fondo lussemburghese ha rilevato la partecipazione da Trafigura. Insomma, gli affari sono affari.

L’embargo crea squilibrio, ed espone l’importatore a un mercato (in punto di prezzo) dell’offerta. Un mercato squilibrato tra domanda e offerta stimola però il riequilibrio. E un pezzo di riequilibrio verrà dall’Asia, e anche (soprattutto?) in forma di prodotto di greggio russo “ribattezzato”. Il percorso può essere accidentato e comunque costoso, però sarà percorso.


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