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Giancarlo Giorgetti

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È inutile nasconderselo. Questa è la realtà e giustamente il presidente del Consiglio non vuole mollare su quel poco che si può fare sui redditi medio bassi. Messi i soldi su questo capitolo, tra rinnovo strutturale al taglio Draghi-Meloni del cuneo fiscale e accorpamento delle due aliquote Irpef più basse favorendo ancora i ceti più deboli, la festa è finita. Bandendo nel frattempo una serie di effetti boomerang su migranti, banche e pensioni che aggravano il quadro. A meno che non sia effettiva l’ambizione di fare spending review e privatizzazioni, ma non è facile

I soldi non ci sono, è inutile nasconderselo. Questa è la realtà vera e giustamente il presidente del Consiglio non vuole mollare su quel poco che si può fare sui redditi medio bassi. Messi i soldi su questo capitolo, tra rinnovo strutturale al taglio Draghi- Meloni del cuneo fiscale e accorpamento delle due aliquote Irpef più basse favorendo ancora i ceti più deboli, la festa è finita. Si può ritagliare ancora qualcosetta perché le spese indifferibili sono appunto indifferibili e il tema sociale ha ancora alcune sfaccettature serie da affrontare con ragionevolezza come sanità, contratti, scuola.

Poi, basta, bandendo nel frattempo una serie di effetti boomerang tra annunci populisti di patrimoniale sulle banche che non darà quello che ci si aspetta e ci danneggerà sulla credibilità internazionale e sui tassi dei nostri titolo sovrani o ogni tipo di chimera pensionistica dove l’unica cosa davvero possibile è quella di tagliare ulteriormente gli assegni previdenziali soprattutto a chi ne gode da troppo tempo indebitamente. Le parole e i numeri del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, sono inequivoci e permettono di misurarsi con tutti gli spazi di manovra possibili, ma dentro un quadro di realismo che è molto utile e da cui non si può prescindere.

Sui migranti siamo alle solite e il confronto, purtroppo, tra gli annunci più o meno storici sbandierati a destra e a manca, che sono il frutto comunque di un lavoro importante, e la durissima realtà dell’esplosione degli arrivi rende tutto più stridente e facilita quella pressione populista salviniana che non aiuta né in Europa né a casa. Molto apprezzabili e da sostenere invece sono le azioni dei ministri Fitto e Urso incanalate in un percorso europeo che ovviamente non è facile e ha già superato molti step con la Commissione affatto scontati. Si deve al primo il tesoretto di bonus per imprese e famiglie che può aiutare non poco in questa fase di difficoltà globale e di ricadute pesanti sull’Italia ottenuto in un clima che rivela metodo e collaborazione con le strutture europee.

Il secondo è impegnato come pochi altri hanno fatto in un’azione diretta a calmierare i prezzi dove troppi hanno fatto i furbetti del cartello e si riscontrano profitti sussidiati anomali. Anche qui è importante il metodo scelto di dialogo e di tavolo allargato alla grande come alla piccola distribuzione, ai produttori e così via ponendo tutti davanti alle loro responsabilità. È un tentativo che va incoraggiato soprattutto in un mondo distributivo, produttivo, agricolo, così spappolato come è quello italiano che se si riesce a portare a casa il risultato si è fatto un miracolo.

Certo, ci vorrebbe la grande ambizione di fare quella spending review che stringi stringi nessuna forza politica ha mai voluto davvero fare incontrando sempre difficoltà rilevanti di attuazione. Giorgia Meloni mostra di volerci provare, ma ovviamente non è facile. Lo sforzo del vicepremier Tajani di porre il tema vero della privatizzazione dei porti che moltiplicherebbe volumi di attività e guadagni e soprattutto permetterebbe di recuperare competitività sistemica in un settore in grande espansione, è encomiabile, ma tutto ciò richiede una cultura di governo che ponga al primo posto realismo e modernizzazione in una chiave europea che è la sola possibile. L’alternativa è il solito bau bau con l’Europa che non porta da nessuna parte e mette a rischio la nostra credibilità facendo pagare il conto agli italiani.


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