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Roberto Calderoli, senatore della Lega, e autore della proposta di legge sull'autonomia

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ORMAI da oltre due anni il dibattito sull’opportunità di normare, in conseguenza della riforma del Titolo V della Costituzione, voluto colposamente dal Pd, l’autonomia differenziata, richieste da alcune Regioni del nord Italia, è stato intenso e continuo. Sopratutto docenti universitari, politologi, giornalisti, uomini di cultura, centri di ricerca nazionale importanti, hanno scritto migliaia di pagine di quotidiani, partecipato a tantissimi talk show, elaborato studi e ricerche molto approfondite ed esaustive, per affrontare la problematica e capire le conseguenze economiche rispetto alle varie aree territoriali.

Da quando poi la legge è stata incardinata nella Commissione che ha prodotto un testo di legge da portare in Parlamento molte Istituzioni, ma anche singoli studiosi e centri di ricerca, sono state auditi portando un contributo alla conoscenza delle conseguenze che l’attuazione di una simile normativa avrebbe potuto portare nelle varie aree del Paese. In generale i pronunciamenti sono stati molto cauti ma anche decisi sulla non opportunità che la normativa andasse avanti, considerata peraltro l’impossibilità finanziaria che i Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) potessero essere estesi a tutta la Nazione.

Quella che si vuole attuare, meglio quello che la Lega vuole far diventare legge, ma che è stata inserita nel programma di governo, sottoscritto da tutte le quattro forze di maggioranza, riguarda una distribuzione diversa delle risorse all’interno dell’Italia, considerando le singole Regioni piccoli statarelli, in autonomia, con un un loro bilancio, che considerano il reddito prodotto dai propri cittadini un bene da gestire ed amministrare senza considerare tutte le interrelazioni che quando si è nazione possano esistere. Versando solo una piccola parte dei loro introiti come contributo alle Regioni meno sviluppate.

In realtà si considererebbe la spesa storica legittimata, mentre oggi tale distribuzione delle risorse, che non faccia riferimento ad una spesa pro capite uguale per cittadino di qualunque parte del Paese, sarebbe anticostituzionale.

Una nuova “mini Costituente”, un nuovo Comitato tecnico scientifico è stato costituito per occuparsi dei Lep, per determinare quali materie saranno di competenza delle singole Regioni italiane. Il nuovo comitato è stato chiamato Clep, un acronimo che sta per Comitato per i Livelli essenziale di prestazione, un comitato di “saggi” che doveva valutare i servizi che la Repubblica italiana si impegna a fornire a tutti i suoi cittadini in cambio delle tasse. Presieduto dall’illustre giurista, ex ministro e presidente emerito della Consulta, Sabino Cassese, è stato abbandonato quasi subito da alcuni dei più prestigiosi componenti, che hanno evidenziato con le loro dimissioni l’impossibilità tecnica economica di arrivare all’approvazione della normativa in contemporanea con l’attuazione dei Lep. Gli incontri relativi alla legge si sono moltiplicati. Si sono pronunciati anche molti consigli comunali contro questa normativa ed è stata fatta una raccolta di firme, guidata dal professore emerito costituzionalista Massimo Villone, per un’iniziativa di proposta di legge popolare contro l’autonomia che ha raccolto quasi 100.000 firme, anche se ne sarebbero bastate 50.000.

Bene, tutto questo attivismo da parte dell’intellighenzia colta dell’Italia meridionale non ha trovato molto riscontro nelle popolazioni, che rispetto ad un cambiamento così radicale come l’autonomia e lo Spacca-Italia ed al pericolo che le risorse per avere gli stessi diritti di cittadinanza esistenti nelle parti ricche del Paese possano, se non diminuire pesantemente, rimanere a livelli tali da non consentire l’adeguamento e l’aggiustamento al rialzo del diritto alla mobilità, ad una buona sanità, alla scuola a tempo pieno e ad una formazione adeguata, è rimasta pressoché indifferente, quasi che si parlasse di problematiche che non la riguardavano.

Gli stessi quotidiani meridionali o meridionalisti, tranne alcuni meritevoli come il nostro Quotidiano del Sud, hanno dedicato all’argomento articoli assolutamente minori malgrado la normativa, a detta di tutti, tranne poche posizioni direttamente interessate di controparte, peggiori la distribuzione già oggi negativa per il Mezzogiorno della spesa storica. Perfino le forze politiche di maggioranza, che dovrebbero essere particolarmente preoccupate per i loro territori, hanno aderito in Conferenza delle Regioni all’ipotesi formulata dal ministro Calderoli, come quei capponi che festeggiano l’arrivo del Natale.

Tale lontananza da parte dell’opinione pubblica meridionale, rispetto alle problematiche di sopravvivenza che le riguarda, dimostra una mancanza di consapevolezza dei diritti collettivi. Forse poiché rifugiati da sempre a cercare soluzioni individuali, che siano quelle della raccomandazione per avere un’occupazione o anche di programmare il proprio trasferimento in modo da far sì che visto che la montagna non va a Maometto ci si trasferisca verso la montagna sacra del Nord. Cioè considerato che i diritti di cittadinanza nel Mezzogiorno sono di scarso livello, invece di lottare perché vengano migliorati, adottare la soluzione che sembra più semplice cioè spostarsi laddove essi sono garantiti a livelli migliori. Soluzione per abbandono potremmo chiamarla.


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