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La Grecia ci segue con la terza rata, la Germania è indietro. L’Italia è il primo utilizzatore del Piano e il primo Paese a chiedere e ottenere la quarta rata. Questa è una buona notizia per l’Europa. Non può essere motivo di turbamento il fatto che il risultato del lavoro silenzioso del ministro Fitto smentisce solennemente il racconto nazionale angosciato che non ha fatto altro che seminare panico mentre si era impegnati in uno sforzo strutturale di riassetto della macchina pubblica degli investimenti cambiando in casa e cooperando fuori con la Commissione europea. A marzo anche l’accelerazione della spesa effettiva sarà tangibile.

SPIACE davvero doversi ripetere. Appena qualche settimana fa e di nuovo alcuni giorni fa abbiamo titolato “Pnrr, Italia modello europeo”. Abbiamo subito aggiunto che saremmo stati gli unici ad incassare la quarta rata e, per questo, ad essere i primi in Europa non solo per gli importi mobilitati, che è scontato, ma anche per la capacità di portare avanti il Piano e di rispettarne gli obiettivi di modo che scattino i trasferimenti concordati in parte a fondo perduto in parte a prestito.

La Grecia ci segue a ruota con la terza rata, la Germania è ferma alla prima. Sulla base degli importi siamo noi nettamente i primi utilizzatori con 194 miliardi tra fondo perduto e prestiti a tassi di favore a cui si aggiungono altri 30 miliardi di Fondo Complementare. Il fatto che l’Italia, che è il primo utilizzatore del Piano, sia anche oggettivamente il primo Paese a chiedere e ottenere la quarta rata è una buona notizia per l’intera Europa. Non può essere motivo di turbamento il dato di fatto che questo risultato, come gli altri, frutto del lavoro silenzioso del ministro Fitto e della nuova struttura centrale da lui coordinata, smentisca solennemente il racconto nazionale di mesi angosciante e angoscioso, cartaceo e televisivo, che non ha fatto altro che seminare panico nelle aspettative dell’economia italiana mentre si era impegnati in uno sforzo strutturale di riassetto della macchina pubblica nazionale degli investimenti cambiando in casa e cooperando fuori, sempre in modo lineare e costruttivo, con la Commissione europea.

Così come per tutti quelli che hanno strologato sul fatto che l’Italia avesse preso a prestito importi così rilevanti facendo intendere che ci potevamo rimettere molto, può essere utile constatare che nonostante da allora a oggi i tassi siano ulteriormente cresciuti e quindi si sia ridotta percentualmente la quota di favore sugli interessi, la Spagna ha voluto fare nuovo massiccio ricorso ai fondi a prestito del Pnrr diventando il secondo soggetto attuatore dell’intero Piano dopo l’Italia. Vuol dire tutto ciò che i prestiti del Recovery sono ancora oggi più convenienti. Per capirsi, se si chiedono i soldi direttamente sul mercato si paga di più. Così anche questa polemicuccia di quarta serie scattata in Italia perfino quando il tasso Recovery era poco sopra lo zero la archiviamo e non ne parliamo più.

Siccome nel Paese degli uccelli del malaugurio, ci piace fare la parte di chi dice le cose come stanno davvero e tutto ciò basta e avanza per distribuire un po’ di fiducia e un po’ di ottimismo, ci permettiamo di segnalare sin da ora che a marzo dell’anno prossimo saremo certamente i primi tra i soggetti attuatori del nuovo piano europeo di debito comune non solo per gli incassi, ma anche per la spesa attuativa effettiva dei target concordati.

Basiamo queste nostre previsioni, come sempre, su valutazioni puramente empiriche. Al momento sui 41 miliardi di spesa effettiva ben 26 pari al 65% del totale derivano in modo preponderante da crediti di imposta su incentivi 4.0 per l’industria oltre che dalla onerosa filiera di ecobonus. Il restante 35% proviene da opere pubbliche che, peraltro, non costituiscono neppure spesa aggiuntiva in quanto riguardano opere in essere. Il fatto che con la rinegoziazione del Repower Eu, nonostante forti resistenze iniziali europee, si sia riusciti ad ottenere 12,3 miliardi tra crediti di imposta e sostegni negoziati all’industria è la migliore garanzia della loro spesa effettiva. Questo significa essenzialmente una cosa: forte accelerazione della spesa pubblica produttiva in termini di realizzazione degli obiettivi concordati come Pnrr e di parallela mobilitazione di altri capitali privati, nazionali e internazionali, che di sicuro contribuiscono alla crescita complessiva del Paese sostenendone il Pil.

Vogliamo anche aggiungere che un contributo alla crescita sicuramente rilevante arriverà dall’imponente sforzo riorganizzativo avviato a livello centrale perché la macchina degli investimenti si metta finalmente a correre e dalla clausola di responsabilità che permetterà di preservare procedure semplificate e poteri di supplenza del Pnrr anche per le gare in essere per 8/10 miliardi di opere di Comuni delle aree interne e, in misura minore, di quelli metropolitani che verranno finanziati con il fondo di coesione e sviluppo o con la parte libera di quello complementare.

Siamo certi che molti continueranno a brontolare invece di dare una mano perché il nuovo modello operativo funzioni sempre meglio, ma a noi piace qui almeno sottolineare che dopo venti anni di stasi assoluta nell’apertura di cantieri l’Italia sta finalmente cambiando direzione di marcia. Risponde alla tutela dell’interesse nazionale e alla salvaguardia del disegno di una nuova Europa, remare tutti nella stessa direzione. Per l’Italia è in gioco la partita della crescita. Per l’Europa, attraverso l’Italia, è in gioco la sopravvivenza.


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