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Maurizio Pugliese

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Dopo 30 anni di dominio nel segno del terrore stroncata l’ascesa della cosca di ‘ndrangheta dei Macario attiva a Marinella di Isola

ISOLA CAPO RIZZUTO – «Mi prenderò casa tua e tutta Marinella». Sta in una delle minacce rivolte a una delle vittime da Maurizio Pugliese, ritenuto al vertice di una nuova ‘ndrina, detta dei “Macario” dal suo soprannome e funzionalmente dipendente dalla più nota cosca Arena con cui è imparentato, l’obiettivo di un gruppo criminale, giudiziariamente mai censito prima, che spadroneggiava indisturbato da trent’anni con furti, danneggiamenti, estorsioni, imposizioni di guardianìa e tentativi di impossessamento di terreni concessi dall’Arsac nella località Marinella, uno dei tratti più suggestivi della costa crotonese.

Con nove misure cautelari – cinque in carcere e quattro ai domiciliari – i carabinieri della Sezione Operativa della Compagnia di Crotone e i loro colleghi della Tenenza di Isola Capo Rizzuto, diretti dal pm della Dda di Catanzaro Paolo Sirleo, ritengono di aver fatto luce su una presunta associazione mafiosa che sin dagli anni ’90 avrebbe soggiogato i residenti della zona, molti dei quali hanno là abitazioni immerse in un paesaggio mozzafiato nelle quali si trasferiscono d’estate.

‘NDRANGHETA, GLI ARRESTATI DELLA COSCA DI MARINELLA CHE SEMINAVA IL TERRORE DA OLTRE 30 ANNI

In carcere sono finiti: Maurizio Pugliese, di 58 anni; Michele Pugliese (61) Giuseppina Giordano (56); Vincenzo Pugliese (33); Vittorina Pugliese (36), quest’ultima beccata a Palermo mentre faceva scalo tecnico durante una crociera nel Mediterraneo. Ai domiciliari: Giovanni Barberio (60); Antonio Pugliese (40); Mariangela Pugliese (40); Giuseppe Vallone (22). Tutti di Isola.

Soltanto due vittime hanno parlato con gli investigatori, fornendo l’input per l’inchiesta. «La situazione di terrore a Marinella è generalizzata a tal punto che nessuno avrebbe il coraggio di denunciare i Macario», ha dichiarato agli inquirenti uno degli estorti, mentre altri hanno minimizzato o edulcorato i fatti, anche se i Pugliese con atteggiamento arrogante si materializzavano nelle loro proprietà e aravano perfino i terreni.

LE ACCUSE CONTESTATI AGLI INDAGATI

In una sessantina di capi d’imputazione contestati nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dalla gip distrettuale Gilda Danila Romano sono compendiati una serie impressionante di episodi di imposizione di servizi di guardianìa nei confronti di privati, molti dei quali provenienti da San Giovanni in Fiore, e di titolari di villaggi e camping della zona mediante minaccia del danneggiamento dei beni immobili o dei terreni agricoli, furti e incendi di suppellettili e attrezzature e tagli di piante di ulivo, estorsioni compiute con il consolidato modus operandi della ‘ndrangheta che prevede richieste di denaro da destinare ai detenuti.

Inoltre, la cosca avrebbe costretto sei proprietari di terreni dati in uso dall’Arsac a non opporsi al tentativo di acquisizione da parte degli indagati. Ciò mediante calunnie con la presentazione di denunce pretestuose e falsificazioni di pratiche. La presentazione delle domande false era accompagnata dalla costrizione inflitta ai proprietari affinchè non formulassero essi stessi la legittima istanza di riscatto e, a seguire, gli indagati avrebbero percepito sussidi e benefici economici spettanti ai titolari. Ma gli inquirenti contestano anche una presunta truffa all’Arcea. Truffa attuata mediante la falsificazione della documentazione attestante il possesso o l’uso dei terreni agricoli, appartenenti a persone estorte o ignare, con il coinvolgimento di tre prestanome e intermediari, percettori del reddito di cittadinanza, per un valore di circa 45mila euro, oggetto di sequestro per equivalente.

La presentazione delle domande false era accompagnata dalla costrizione inflitta ai proprietari affinché non formulassero essi stessi la legittima istanza di riscatto e, a seguire, gli indagati ottenevano sussidi e benefici economici spettanti ai proprietari. Le direttive le dava dal carcere di Castrovillari, dov’era detenuto, il capo, che utilizzava un telefono cellulare abusivo sequestrato dalla polizia penitenziaria per comunicare con i parenti e chiedere l’intervento delle cosche per dirimere controversie.

LO SCONTRO DI POTERE TRA CLAN DI ‘NDRANGHETA E L’ASCESA A MARINELLA DEI “MACARIO”

Sarebbe stato lui ad assumere il comando della zona dopo uno scontro sanguinoso con la famiglia Capicchiano e l’omicidio, in particolare, di Giuseppe Capicchiano. L’ampia attività estorsiva sarebbe stata rivolta contro i proprietari di immobili utilizzati nel solo periodo estivo. Da qui i danneggiamenti allo scopo di far comprendere la necessità di un controllo, che proprio i Pugliese erano poi pronti ad assicurare. Le somme per la vigilanza venivano pagate in due tranches annuali. Nel mirino sarebbe finito anche il referente e procacciatore d’affari di un istituto di vigilanza, la Polservice.

Gli indagati si sarebbero rivolti a chi li aveva contattati per lamentarsi dello “sgarro” subito e per essere stati estromessi dall’incarico. Addirittura in un caso Maurizio Pugliese e il figlio Vincenzo avrebbero presentato falsamente denuncia contro ignoti per invasione di edifici e furti simulando di essere i proprietari. Nessun dubbio, da parte degli inquirenti, sulla mafiosità del modus agendi contestato agli indagati. Basta ripercorre il calvario delle vittime, spulciando le carte dell’indagine: «Salvo la prima volta che ci ha chiesto i soldi e noi eravamo convinti fosse tutto legale, Maurizio si presentava a noi in modo cattivo pretendendo il pagamento di somme sempre maggiori: “Me li dovete dare”, esclamava in relazione al denaro preteso».

LA SCOPERTA CHE SI TRATTAVA DELL’AZIONE DI UNA COSCA DI ‘NDRANGHETA ATTIVA A MARINELLA DI ISOLA

«All’esito di tale atteggiamento, per la prima volta capimmo che si trattava di una mafia giacché eravamo costretti a pagarlo perché altrimenti avremmo subito ulteriori rovine alla nostra proprietà». Forse hanno scardinato un sistema che vigeva dai tempi della lira. «Circa trent’anni fa, da quando ho la casa a Marinella, si è presentato Michele presso la mia abitazione, più precisamente lo stesso si è fermato fuori dal cancello, mi ha salutato ed mi ha chiesto se mi faceva piacere ricevere la sua guardianìa presso l’abitazione. lo inizialmente gli davo la somma di lire 100.000, era una somma da me decisa. I soldi li ho dati sempre a lui nelle sue mani». Un tratto incantevole di costa liberato.

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