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L’apertura di un nuovo fronte della guerra in Libano peggiorerebbe le tensioni tra il governo di Israele e i funzionari degli Usa

IL PUNTO ormai non è più il “se” ma il “quando”: mentre l’offensiva dell’esercito di Israele prosegue a Gaza, con un insopportabile tributo in termini di vite umane, il fronte della guerra in Medio Oriente sta trovando un nuovo asse militare e strategico a nord d’Israele. La violenza sul fronte libanese si avvicina a livelli mai visti dall’ultima guerra combattuta con Hezbollah nel 2006. Da due mesi, infatti, lungo il confine Libano e Israele infuria una guerra tra i droni e i missili di Hezbollah e i bombardamenti israeliani per far arretrare i fondamentalisti sostenuti dall’Iran oltre il fiume Litani, nel sud del Libano.

Secondo un conteggio provvisorio effettuato dall’Agenzia France-Presse, dal 7 ottobre le violenze al confine tra Israele e Libano hanno causato più di 120 vittime in territorio libanese, la maggior parte combattenti del movimento sciita, almeno 15 i civili, e tra questi tre giornalisti. Il canale Telegram Military Media News Broadcasting, molto vicino all’estremismo islamico, rivendica che Hezbollah abbia attaccato le posizioni israeliane di Al-Malikiyya, Hadab Yaron, Al-Raheb e Bayad Blida, conducendo azioni armate contro l’artiglieria a Khirbet Maar e nel sito di Jal Al-Allam, minacciando direttamente la caserma Zarit nel villaggio occupato di Tarbikha e rivolgendosi poi contro una concentrazione di soldati israeliani intorno ad Al-Assi.

I RAID DELL’AVIAZIONE ISRAELIANA

L’Aeronautica israeliana ha invece riferito sul social X di aver colpito alcuni missili anticarro diretti verso il kibbutz di Yiftah, nel nord di Israele. Il ministro della Difesa Yoav Gallant, parlando la scorsa settimana ai sindaci e ai leader municipali dei villaggi settentrionali, da cui al momento hanno evacuato per sicurezza circa 80 mila cittadini di Israele, ospitati dal governo negli alberghi di Tel Aviv, ha affermato che il governo non ha alcuna intenzione di incoraggiare il loro rientro nelle abitazioni, finché la guerra con Hezbollah non avrà termine.
A Gallant ha fatto eco Hassan Nasrallah, segretario generale della milizia filo-iraniana, che incontrando i giornalisti libanesi mercoledì scorso, secondo quanto riferito da Asianews, ha denunciato che il 10 dicembre l’aviazione con la stella di David avrebbe raso al suolo un quartiere del villaggio di Aïtaroun, subito dopo il confine con Israele. L’esercito israeliano ha confermato con un comunicato di aver risposto a un lancio di missili abbattutisi sulla cittadina di Shomera nel nord del Paese.

La risoluzione Onu 1701, che pose fine alla guerra del Libano del 2006, obbligava i guerriglieri sciiti a sgombrare i suoi reparti dal sud del Litani, arretrando di 18 miglia a nord del confine, ma Hezbollah è rimasto invece su quelle posizioni, riprendendo nelle ultime settimane gli attacchi missilistici. Gli strateghi militari israeliani valutano che gli Hezbollah libanesi, ritenuti più pericolosi di Hamas, abbiano la capacità e l’intento di condurre un attacco significativo nel nord di Israele. Mesi prima del 7 ottobre, i leader di Hezbollah avevano affermato che il loro movimento intendeva invadere la Galilea e conquistare le comunità israeliane.

HAMAS E GLI ALTRI NEMICI STORICI DI ISRAELE: LA PAURA DI UN ALLARGAMENTO DELLA GUERRA

Dopo il pogrom del 7 ottobre scorso che ha scatenato la reazione su Gaza, il timore d’Israele e della comunità internazionale è che all’attacco di Hamas si sovrappongano quelli di altri nemici storici dello stato ebraico, a cominciare dall’Iran, che finanzia e sostiene Hezbollah. Gli sfollati del nord adesso rischiano di diventare un altro problema di politica interna per il governo di estrema destra guidato da Benjamin Netanyhau, sotto accusa per non essere riuscito a liberare tutti gli ostaggi – sarebbero 137 quelli ancora nelle mani dei terroristi – nonostante due mesi di bombardamenti e migliaia di morti palestinesi. Al tempo stesso cresce la pressione diplomatica degli Usa verso Israele, come mai era accaduto in precedenza.

LA GUERRA IN ISRAELE E LA CAMPAGNA ELETTORALE NEGLI USA

La guerra in Medio Oriente sta entrando di prepotenza anche nella campagna elettorale Usa 2024, con il presidente Joe Biden che preme per un cessate il fuoco a Gaza da cui far ripartire la trattativa con Israele per arrivare a uno stato palestinese. Gli Stati Uniti hanno affermato che non vogliono che il conflitto si estenda nella regione, inviando due portaerei nell’area per dissuadere l’Iran dal farsi coinvolgere. L’apertura di un nuovo fronte in Libano peggiorerebbe le tensioni tra il governo Netanyahu e i funzionari statunitensi. A novembre, il segretario alla Difesa americano Lloyd Austin ha avvertito la sua controparte israeliana, Gallant, di non intensificare le tensioni con Hezbollah.

Secondo gli analisti del quotidiano statunitense Politico, l’allarme lanciato da Israele sull’escalation del conflitto a nord avrebbe invece un altro scopo. Netanyhau ha bisogno di un significativo rifornimento di munizioni da parte degli Usa per condurre efficacemente la sua offensiva a Gaza, e il suo bisogno di armi statunitensi aumenterebbe in modo esponenziale per far fronte al vasto arsenale di Hezbollah. La quasi certa opposizione degli Stati Uniti a qualsiasi piano israeliano di intensificare l’offensiva contro Hezbollah farebbe pensare che le minacce dello stato ebraico abbiano lo scopo di mobilitare la diplomazia internazionale e regionale, arrivando a un compromesso piuttosto che a intenzioni militari concrete.

LA FRANCIA E I TENTATIVI DI SPINGERE VERSO UN CESSATE IL FUOCO

All’inizio di dicembre, il capo della Dgse francese, i servizi segreti esteri, Bernard Émié, insieme a esponenti dell’intelligence mediorientale con interessi nella regione, come l’Arabia Saudita, ha visitato Beirut per spingere verso un cessate il fuoco Israele-Hezbollah e chiedere a questi ultimi il rispetto della risoluzione Onu 1701. Hezbollah, riferisce Le Monde, ha risposto che avrebbe smesso di colpire Israele solo dopo la fine del conflitto di Gaza. Ma Émié, che è stato in passato ambasciatore a Beirut, si è recato in Libano con una proposta precisa: il ritiro dal confine della Radwa, l’unità d’elite dei miliziani sciiti, e non di tutte le sue forze: un compromesso che potrebbe raccogliere l’interesse israeliano.

La debolezza della proposta francese è rappresentata dallo stato di disintegrazione socio-economica in cui versa il Libano e la sua quasi impossibilità di rendersi garante di un accordo. Tuttavia l’ingresso in campo di un altro attore internazionale come possibile mediatore, oltre agli Usa, fa presupporre che una strada diplomatica che metta un fremo all’escalation del conflitto sia ancora possibile.


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