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LE MEDIE imprese industriali del Sud corrono più di quelle del resto d’Italia: nel 2023 l’87% stima aumenti di fatturato, contro il 76% di quelle del Centro Nord, e il 92% dell’export, contro l’81%. Guardando al futuro, il 40% prevede un significativo incremento della propria quota di mercato e sei su dieci investirà in digitale e green entro il 2025. Altro che Mezzogiorno passivo dal punto di vista industriale. È quanto emerge dall’ultimo rapporto “I fattori di competitività delle medie imprese del Mezzogiorno: il ruolo dei ‘capitali’ strategici” realizzato dall’Area Studi di Mediobanca, dal Centro Studi Tagliacarne e Unioncamere e presentato a Catania presso la Camera di Commercio.

«Non esiste un unico Sud a cui attribuire un’indiscriminata etichetta di area depressa e senza speranza, ma più Mezzogiorni, alcuni dei quali intraprendenti e ponte di collegamento con il Nord – ha sottolineato Gabriele Barbaresco, Direttore dell’Area Studi Mediobanca – la provincia di Catania, ad esempio, ha una densità di imprese superiore a quella di Forlì-Cesena, Pesaro-Urbino e Parma. È fondamentale valorizzare le iniziative imprenditoriali di successo del Sud, certamente nell’ambito delle medie imprese, e diffonderle nelle aree meno sviluppate. I giovani, frequentemente presenti nelle amministrazioni locali del Sud, devono essere protagonisti del riscatto: essi possono avere un ruolo nell’ammodernamento e nell’efficientamento della macchina amministrativa, condizione essenziale per fare del Mezzogiorno un’area business friendly e pienamente ricettiva della grande occasione rappresentata dal Pnrr».

Mentre si fa fatica a riequilibrare la spesa pubblica del Paese, fortemente squilibrata a vantaggio di chi vive da Roma in su, la classe imprenditoriale meridionale ha continuato a premere sull’acceleratore. Anche per questo motivo, sei medie imprese del Mezzogiorno su dieci investiranno in digitale e green, proseguendo il cammino intrapreso tra il 2020 e il 2022 o con nuovi investimenti entro il 2025. Nel Mezzogiorno c’è una minore propensione a mettere in campo pratiche per trattenere i talenti in azienda: il 29% delle MI meridionali non ha adottato nessuna pratica, contro il più ridotto 15% delle MI delle altre aree. Per trattenere i talenti in azienda, le MI meridionali tendono ad utilizzare la leva salariale meno di quelle delle altre aree (29% vs 52%) così come la flessibilità negli orari di lavoro (11% vs 28%) e la maggiore autonomia sulle mansioni (6% vs 20%). L’incremento salariale resta comunque il primo strumento per trattenere i talenti in azienda (29%), seguito dai benefit aziendali (21%). Nel Mezzogiorno la spinta del Capitale Umano alla crescita economica delle MI è più forte, perché nelle altre aree la quota di MI che dichiara un aumento del fatturato nel triennio 2023-25 sale solo di 6 punti percentuali passando dalle MI che non investono nel Capitale Umano a quelle che lo fanno (dal 31% al 37%). Nel Mezzogiorno sono più le MI che inizieranno ad investire nella Duplice Transizione nel 2023-25 (25%) rispetto a quelle che invece interromperanno gli investimenti (10%) limitandosi al solo triennio 2020-22. Insomma c’è un Sud che dimostra di poter correre più veloce del resto d’Italia. Sono però le barriere economiche a frenare più della metà delle medie imprese del Sud dal fare investimenti 4.0 (contro il 30% delle altre medie imprese), mentre quelle culturali ostacolano prevalentemente la Transizione Green (38% al Sud, 33% altrove).

La maggiore dinamicità delle medie imprese del Mezzogiorno è confermata dai risultati conseguiti nell’ultimo decennio. Tra il 2012 e il 2021, queste aziende hanno registrato una crescita del fatturato del 44,4% (contro il 40% delle altre). La loro produttività è cresciuta del 33,1% rispetto al +31% del resto d’Italia e la loro competitività è aumentata di 29,6 punti percentuali rispetto a un incremento di 15,3 punti percentuali delle altre, con rilevante ampliamento della forza lavoro (+29,3% contro +20,7%). Anche il 2022 si è chiuso con un incremento del fatturato nominale delle medie imprese meridionali pari al +20,9% (+5,5% in termini reali) che supera quello delle altre aree (+16,1% nominale, +1,4% reale).

Per quanto riguarda le vendite oltreconfine, le medie imprese del Mezzogiorno hanno archiviato il 2022 con un +25,4% nominale (+10,2% reale) sovraperformando rispetto alle altre aree (rispettivamente +15,7% e +1,7%). Non è trascurabile il fatto che queste performance sono state ottenute in contesti non sempre favorevoli. Per esempio, viene sottolineato nel report dell’Area Studi di Mediobanca, nel decennio 2012-2021, il livello di tassazione delle medie imprese meridionali risulta più elevato rispetto al resto d’Italia (valore medio: 32,7% vs 29,9%). In risposta all’instabilità del contesto attuale, il 48,6% delle medie imprese del Mezzogiorno ritiene utile incrementare la dimensione aziendale (contro il 47,8% delle Mid Cap delle altre aree) e la stessa percentuale ritiene necessario favorire l’ingresso di competenze più evolute nel proprio Consiglio d’Amministrazione (32,1% negli altri territori). Inoltre, il 28,6% delle medie imprese del Mezzogiorno ha in progetto di aprire il proprio capitale a soci finanziari (rispetto al 13% nelle altre aree) e l’11,4% prevede di far ricorso al capitale proprietario (contro il 6,8% nelle altre aree). Risulta altresì importante una corretta gestione delle catene di fornitura soprattutto in un momento in cui l’incertezza geopolitica potrebbe metterne a rischio la continuità. Per porvi rimedio, le medie imprese meridionali puntano all’incremento del numero dei fornitori privilegiando quelli di prossimità (oltre il 40% delle medie imprese meridionali e non) assumendo che la minore distanza riduca i rischi di interruzione e che vi possa essere maggiore collaborazione fra gli operatori.

Tra i “capitali” ritenuti strategici per lo sviluppo futuro, quello Umano rappresenta l’elemento centrale su cui focalizzare i maggiori sforzi. In una scala di rilevanza da 1 a 5 ottiene, tanto per le medie imprese del Mezzogiorno quanto per quelle delle altre aree, un punteggio pari a 4,6 punti, mentre al Capitale Organizzativo viene attribuito un peso minore dalle aziende di entrambi i territori (rispettivamente 3,7 e 3,5 punti). Il secondo ‘capitale’ è quello Tecnico sia per le Mid Cap collocate nel Sud Italia (4,3 punti), sia per quelle ubicate nel Centro-Nord (4).Le tematiche ESG rappresentano una parte rilevante delle politiche aziendali e una leva strategica a disposizione delle imprese anche perché rappresentano una garanzia dell’integrità dell’impresa, caratteristica molto ricercata da stakeholders e investitori. Il 62,9% delle medie imprese del Mezzogiorno le considera infatti un trend destinato a perdurare e che deve permeare con convinzione i processi aziendali perché fonte di vantaggio competitivo; la percentuale sale al 65,6% per le medie imprese delle altre aree. Sono tante le medie imprese del Mezzogiorno che scelgono con convinzione la strada della Duplice Transizione per diventare più competitive: il 38% investirà in digitale e green entro il 2025, in continuità con quanto fatto nel triennio precedente 2020-2022 e il 25% ha in previsione di farlo tra il 2023 e il 2025. Ma c’è un altro 27% più reticente che non ha investito nel passato nella Twin Transition e non intende farlo per il futuro.

A fare da barriere agli investimenti nella digitalizzazione sono soprattutto le risorse economiche interne, i finanziamenti insufficienti e il costo del denaro che rappresentano un ostacolo per il 53% di queste realtà imprenditoriali. Ma a frenare, anche se in misura minore, sono pure il peso della burocrazia (24%) e le questioni di carattere culturale (23%) che costituiscono invece la principale barriera alla Transizione Green (38%), prima ancora di quella di natura economica. Il Capitale Umano è ritenuto strategico dalle medie imprese del Sud e non solo, ma il 29% non adotta ancora nessuna politica per trattenere i talenti (contro il 15% del resto d’Italia, tra Centro e Nord). Tuttavia, quando decidono di agire, la leva salariale resta il primo strumento per combattere la great resignation (29%), seguito a ruota dai benefit aziendali (21%). Anche perché, quando puntano sul proprio personale, le medie imprese meridionali sentono di avere una marcia in più: il 50% che investe in Capitale Umano stima un aumento del fatturato entro il 2025 contro il 37% di chi non lo fa.


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