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Rappresaglie a Teheran

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IL COINVOLGIMENTO dell’Iran nella guerra in Medio Oriente è ormai una realtà: la sfida di Teheran e dei suoi alleati regionali contro Israele e Stati Uniti si svolge dal Libano al Mar Rosso, lungo duemila miglia di territorio. La definizione di Medio Oriente per i confini del conflitto non rende del tutto l’ampiezza geografica degli scontri in corso. Il nuovo fronte della guerra si è aperto con gli attacchi missilistici dell’Iran nel nord della Siria e in Iraq a Erbil, capitale della regione autonoma curda dell’Iraq, proseguendo nel Belucistan, regione a cavallo tra Iran, Afghanistan e Pakistan, che costeggia il Mar arabico, in posizione strategica tra l’Asia centrale e quella meridionale. Il Belucistan costituisce da solo il 48% del territorio del Pakistan.

Nel mirino dell’Iran, almeno ufficialmente, l’organizzazione Jaish ul-Adl, parte del movimento separatista del Belucistan, caratterizzato da una maggioranza islamica sunnita in conflitto con gli sciiti di Teheran. Immediata la risposta del Pakistan, con altri bombardamenti nella provincia iraniana di Siestan-o-Balochistan, nel sud est del paese, sempre con la motivazione ufficiale di voler colpire le milizie ribelli e non direttamente l’Iran. Di fatto però le autorità pakistane hanno interrotto le relazioni diplomatiche richiamando il proprio ambasciatore da Teheran ed espellendo da Islamabad l’ambasciatore iraniano.

L’obiettivo del regime guidato dall’Ayatollah Khamenei sarebbe quindi limitato, ovvero colpire i nemici locali, come prova di forza dopo l’attentato del 3 gennaio scorso, rivendicato dall’Isis, che aveva provocato oltre cento morti e più di duecento feriti al cimitero dei martiri di Kerman, mentre era in corso la commemorazione del generale Qassem Soleimani. Una strategia diplomatica minimalista, per limitare le implicazioni reali degli attacchi, evitando l’accusa di inserirsi direttamente nella guerra tra Israele e Hamas che ha mandato in frantumi la stabilità della regione, ma sono state le stesse Guardie della rivoluzione, mai in precedenza impegnate direttamente nella gestione dei raid dell’Iran, a dire di aver colpito a Erbil un quartier generale del Mossad israeliano, tramite un comunicato, affidato all’agenzia Fars. “E’ stato colpito e distrutto con missili balistici – si legge nella nota – uno dei principali quartier generali dello spionaggio del regime sionista nella regione del Kurdistan iracheno”. Dallo Yemen al Libano, il fronte delle organizzazioni che sostengono Hamas e vogliono la distruzione dello Stato ebraico, con l’appoggio politico ed economico dell’Iran, colpisce ogni giorno. Direttamente Israele, come fanno gli Hezbollah dal sud del Libano, oppure colpendo gli interessi economici nella regione del suo principale alleato, gli Stati Uniti e, di conseguenza, il blocco dei paesi occidentali, come stanno facendo gli Houthi. Il nodo principale è quello del passaggio delle merci dal Mar Rosso, tramite gli attacchi degli Houthi, impegnati militarmente da molti anni prima nella guerra civile yemenita e poi in un conflitto con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. Gli attacchi contro navi commerciali e militari da parte dei ribelli Houthi provocano conseguenze economiche rilevanti, compromettendo il traffico marittimo nel mar Rosso. Ma introducono anche il coinvolgimento militare diretto degli Usa e del Regno Unito, già intervenuti con bombardamenti sulle postazioni in Yemen dell’organizzazione. A togliere qualsiasi dubbio sulla collocazione internazionale degli Houthi ci ha pensato Mohammed al-Bukhaiti, un alto funzionario dei ribelli yemeniti, che al quotidiano russo Izvestia ha dichiarato senza pericolo il transito marittimo nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden soltanto per le navi non direttamente collegate a determinati paesi, in particolare a Israele, specificando che i traffici di merci sul canale di Russia e Cina non corrono alcun rischio. Una situazione che coinvolge economicamente e militarmente non soltanto Usa e Uk ma tutti paesi loro alleati, Italia compresa. L’Iran oltre a voler distruggere Israele vuole affermarsi come la nazione più potente nella regione del Golfo Persico, dove il suo principale rivale è l’Arabia Saudita, alleato americano e paese islamico sunnita. I leader iraniani si trovano però ad affrontare, dopo decenni di sanzioni ed embarghi che hanno di fatto indebolito la sua forza militare, oltre che la sua economia, un’opposizione interna mai così forte. Anche per questo motivo preferiscono combattere per procura e non direttamente Israele e gli Usa, tramite milizie sciite in Libano, Iraq e Yemen e quella sunnita di Hamas nella Striscia di Gaza. Al contrario Teheran ha voluto colpire direttamente in Iraq, Siria e Pakistan, le formazioni che hanno agito con attentati suicidi e altre azioni militari all’interno dell’Iran per ribadire che il regime è saldo al potere. Non è detto però che questa tattica risulti vincente. Fino a quando la guerra a Gaza proseguirà, il rischio per l’Iran è che anche senza una precisa volontà possano innescarsi spirali di violenza imprevedibili, con ricadute pesanti sugli equilibri politici interni. Nel frattempo l’offensiva israeliana a Gaza ha rallentato la sua intensità, con un parziale ritiro delle truppe, concedendo un po’ di respiro ai palestinesi, ma sempre all’interno di uno scenario di totale distruzione ed enormi difficoltà per la popolazione a trovare cibo e medicinali. Il tenente generale Gadi Eisenkot, che fa parte del gabinetto di guerra israeliano, ha portato alla luce le profonde divergenze all’interno del governo guidato da Netanyahu. Eisenkot ha criticato il premier sollecitando un cessate il fuoco più lungo con Hamas per liberare gli ostaggi israeliani rimasti, affermando senza mezzi termini che Israele deve ancora realizzare pienamente i suoi obiettivi militari a Gaza. Netanyahu intanto continua a rifiutare qualsiasi processo di pace che porti alla creazione di uno stato palestinese sovrano, respingendo le richieste degli Stati Uniti di iniziare a lavorare verso quell’obiettivo finale. Il suo calcolo è di contare su una vittoria di Donald Trump, più vicino alle sue posizioni, contro il presidente Joe Biden nelle prossime elezioni Usa. Anche l’Italia, ha fatto sapere il ministro degli esteri Tajani, potrebbe avere un ruolo nel dopoguerra. “Gli oltre 1.000 militari italiani in Libano sono là per una missione dell’Onu – ha dichiarato – Qualora servisse a Gaza, in una fase di transizione, una missione di pace, noi siamo pronti a inviare i nostri militari con l’Onu come portatori di pace”.


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