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Ana Rosa Louis

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La storia di Ana Rosa Louis, da Londra a Girifalco per vivere in Calabria: «I colori della natura calabrese per me sono una medicina»


ANA Rosa Louis – artista e antropologa di 37 anni, originaria del Regno Unito – la Calabria all’inizio l’ha conosciuta dagli scaffali del supermercato in cui lavorava, a Londra. Lì, tra i prodotti stranieri, facevano bella di mostra di sé bergamotto e ‘nduja. Da subito, dunque, la Calabria per lei è stata innanzitutto odori, colori, sapori.

E così – quando nel 2017 ha scelto di lasciare il Paese in cui era nata, l’Inghilterra, e la città, Londra, in cui aveva studiato e viveva – ha deciso che la Calabria sarebbe stata la base della sua ripartenza. Una storia di emigrazione al contrario. «A Londra – racconta – ho studiato arte, antropologia e business marketing. Ma poi per tirare avanti ho iniziato a lavorare nei supermercati. L’ho fatto per dieci anni, ma quello che guadagnavo non copriva neanche le spese dell’affitto. E poi c’è stata la Brexit: i miei amici arrivavano in buona parte da altri Paesi europei e quasi tutti hanno scelto di tornare a casa, in Polonia, in Italia, in Spagna, in Repubblica Ceca. Londra ha preso i loro soldi e ha ucciso i loro sogni. Io mi sono ritrovata pressoché sola e mi sono detta che era il momento giusto per andare via».

Ana Rosa cerca progetti di volontariato, legati all’accoglienza di rifugiati. Ne trova uno che le interessa a Camini, piccolo centro della Locride, poche centinaia di abitanti, che sta costruendo in quegli anni un suo modello di inclusione e integrazione.

«Ho realizzato una mostra, preso parte a eventi culturali. Dipinto un murales. Ho trovato una mia dimensione. All’inizio, però, non sono arrivata per restare. La Calabria poteva essere solo una tappa del mio viaggio» confida Ana Rosa. E in effetti a un certo punto parte, direzione Svezia. «È stato un po’ imprevisto – racconta – Io da anni ho problemi con la mia famiglia d’origine. Ancora oggi non parlo con mia madre. Mio padre invece l’ho ritrovato a Camini. È una storia incredibile, in effetti. Un giorno entro in un bar di Camini e lo trovo lì: mi aveva rintracciato tramite il web ed era venuto a trovarmi».

È stata l’occasione per parlare e iniziare a chiarirsi. Il padre vive in Svezia, con la sua nuova famiglia. E così Ana Rosa è andata a trovarli e si è fermata per cinque mesi. Era il 2019. «Non ce l’ho fatta a stabilirmi lì, ho scelto di tornare in Calabria» racconta. La sua destinazione era Placanica, per il festival, invitata da un amico. L’arrivo del Covid però ha cambiato i piani e alla fine si è stabilita a Girifalco.

Per mantenersi in questi anni ha fatto svariati lavori. Ha continuato sì a partecipare a eventi artistici, ma, dice, non è con l’arte che può mantenersi anche se la vita in Calabria costa molto meno. «Sono anche un’illustratrice e continuo a collaborare, a distanza, con una rivista di psicologia inglese. Ma per il resto ho fatto davvero i lavori più svariati. Ho raccolto le olive, ho fatto la cameriera, ho lavorato come barista. E devo dire – continua – che mi piace: per un’antropologa stare dietro al bancone di un bar e ascoltare storie è perfetto».

Certo, le sarebbe piaciuto continuare a lavorare con i rifugiati. Cinque anni fa, racconta, insieme a una donna nigeriana aveva iniziato a realizzare prodotti artigianali, per le fiere. «Ma poi, dopo i decreti Salvini, lei ha scelto di trasferirsi in Germania» spiega. Attratta però dalle tradizioni calabresi e da tutto quello che si può creare con le mani, ha imparato a tessere a Girifalco, ma per ora non può permettersi un telaio. “Nido di Seta”, la cooperativa di San Floro che si occupa di gelsibachicoltura, le aveva anche offerto un lavoro come guida turistica, per accompagnare i tanti gruppi di turisti anglofoni che vengono in visita. «Ma non guido e non ho la macchina, quindi per me era impossibile spostarmi» racconta.

E qui veniamo a uno dei limiti della regione in cui ha scelto di vivere e soprattutto delle sue aree interne: la carenza di collegamenti e servizi pubblici. «So che a Lamezia, ad esempio, potrei avere più occasioni di lavoro, ma senz’auto ho difficoltà a raggiungerla, non c’è un servizio di autobus. E se non hai un lavoro stabile è difficile mantenere un’auto – dice – È un problema serio e oggi è uno dei miei prossimi obiettivi: appena avrò raggiunto una stabilità, prenderò la patente».

Un altro limite che trova nella Calabria è poi anche una certa mentalità chiusa con cui le è capitato di scontrarsi. «Vedere una donna sola, abituata a gestirsi da sé può creare diffidenza, sospetto. Ma non è un problema solo calabrese: anche a Londra si incontrano uomini maschilisti e la misoginia c’è anche fuori – prosegue – Per quanto mi riguarda, poi, io sono più testarda dei calabresi: continuo a vivere la mia vita così come voglio».

E d’altra parte, al netto di qualche isola di pregiudizio con cui ha dovuto fare i conti, per il resto la Calabria l’ha conquistata con la sua vocazione all’accoglienza e il suo calore. «Se mi sento fuori posto in un piccolo paese dopo tanti anni in una metropoli come Londra? No, per nulla. Io preferisco i piccoli centri alle grandi città. E poi a Londra se non hai soldi comunque non puoi uscire, incontrare gente, fare esperienze – sorride – In Svezia, poi, sono tutti freddi. Qui invece la gente alla fine si apre con facilità ed è più curiosa: parlare con gli altri diventa facile».

Ma è della natura calabrese soprattutto che si è innamorata. «La biodiversità è incredibile. Quando sono arrabbiata, quando sono stressata, mi basta fare una passeggiata in campagna per rilassarmi. In Inghilterra non è così. La palette della natura qui per me è medicina» confida.

La sua non è una visione romantica della Calabria. Sui social, commentando nei giorni scorsi un articolo del Quotidiano e raccontando la sua scelta di trasferirsi qui da Londra, ha ricevuto qualche commento scettico. «Io cerco di vedere il mondo attraverso una lente antropologica e una lente personale – ha risposto lì – La Calabria mi ha regalato qualcosa di veramente speciale. Ma non direi mai che sia stato facile. C’è un equilibrio tra bellezza e dolore qui, che ti taglia a metà. Per ogni cosa brutta c’è qualcosa di bello e questo rende difficile andarsene e difficile restare».

Non sa ancora, però, che ne sarà del suo futuro, se resterà in Calabria o deciderà di trasferirsi. «Il Covid ha cambiato i miei piani. Sto cercando un nuovo lavoro e sono poi concentrata sul libro che sto scrivendo e che racconta la mia esperienza qui in Calabria. Farò anche una campagna di crowdfunding e credo che parteciperò a un concorso per scrittori esordienti – racconta ancora Ana Rosa Louis – C’è tanto lavoro però ancora da fare. Anche perché nel libro non parlerò solo di me: voglio raccontare anche le esperienze di tante persone che ho incontrato.
A Badolato, Bivongi, Serra San Bruno (che sono solo alcuni dei posti in cui ha abitato, è stata anche a Camini, Riace, Placanica, Squillace, oltre a Girifalco, ndr). Voglio parlare anche dei progetti di accoglienza, avviati in Calabria. Questa regione, come tutto il sud, gioca un ruolo importante, circondata com’è dai conflitti. Il mondo è cambiato e continua a cambiare. Per tutti. Dobbiamo affrontarlo: spero con questo libro – conclude Ana Rosa – di dare anche qualche ispirazione su come fare».

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