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Il dopo elezioni italiano è il solito fotoromanzo del nulla che occupa a tempo pieno schermi televisivi, social e pubblica opinione. Il problema della politica è oggi maledettamente più ampio e impone a maggioranza e opposizione di muoversi sulla stessa lunghezza d’onda che fa perno sulla necessità di dotarsi di una classe dirigente all’altezza del contesto geopolitico e di finirla con i populismi. Gli allarmi di Macron e von der Leyen come l’attacco di Medvedev alla Meloni ci dicono che aleggia una preoccupazione forte e che una leadership politica in Europa va ostinatamente cercata o, se necessario, costruita con l’Italia in prima linea. Attrezziamoci.

Il dopo elezioni italiano, è successo anche con il voto in Sardegna, è il solito fotoromanzo del nulla che occupa a tempo pieno schermi televisivi, dibattito della pubblica opinione, comunità social con un carico avvilente di fake news e di enormità concettuali e pratiche.

Ci saltano sopra tutti i partiti, i capi in carica e quelli che aspirano a prendere il loro posto, seconde e terze linee con giravolte a tratti imbarazzanti, corredo di clientes e portavoci che lavorano dietro le quinte. Tutti insieme danno il loro piccolo contributo per scavare un fossato sempre più largo tra la politica, priva di partiti veri, ridotta alla maschera di Arlecchino e la realtà con le sue pesantissime difficoltà internazionali e un carico strutturale di problemi interni che meriterebbero ben altra attenzione e ben altro passo riformista. Fanno tutti voli pindarici su alchimie della politica nostrana, su questa o quella consultazione territoriale. Sono davvero ancora troppo pochi coloro che si rendono conto che il problema della politica italiana è oggi maledettamente più ampio perché si inserisce in una situazione di turbolenza internazionale.

Il problema della politica italiana è quello del governo italiano che deve trovare una sua dimensione e dell’opposizione che deve trovare una sua dimensione. Entrambi devono muoversi sulla stessa lunghezza d’onda che fa perno sulla necessità di intestarsi una classe dirigente all’altezza in tutti i campi. Dall’economia alla finanza, dall’Università alla ricerca. Ovunque. Bisogna finirla con i populismi e avviare un discorso serio sulle classi dirigenti. Che riguarda ovviamente non soltanto il governo, che ha di certo il massimo di responsabilità, ma anche tutte le opposizioni perché il Paese deve attrezzarsi complessivamente.

Altro che campo largo e campo stretto, o più di destra o più di sinistra, non si capisce peraltro bene neppure su che cosa. Questo contesto geopolitico sotto gli occhi di tutti, scandito dalle guerre in Ucraina e in Medio Oriente con un campo di battaglia specifico sul Mar Rosso che sta rivoluzionando traffici e logistica, impone per lo meno di riflettere sulle parole di Macron invece che liquidarle frettolosamente, come hanno fatto troppi leader europei, con l’epitaffio che “l’idea di mandare truppe Nato in Ucraina non piace a nessuno tranne che all’inquilino dell’Eliseo e al premier francese”.

Siamo davanti a un tabù da infrangere, è difficile rimanere inermi, se è vero, come è vero, che alle parole di Macron sono seguite ieri quelle della Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che è stata di una forza lapidaria scandendo bene che una guerra in Europa forse “non è imminente” , ma “non è impossibile”. Che cosa dire dell’ex presidente russo e vice presidente del Consiglio di sicurezza nazionale di Mosca, Dmitry Medvedev, che si rivolge a Giorgia Meloni e ripete a muso duro che “i leader occidentali hanno fatto visite teatrali a Kiev nel giorno dell’anniversario dell’operazione militare speciale per distrarre il proprio elettorato dai problemi accumulati”? La frase dell’altro giorno di Macron è stata interpretata da tutti come se fosse una cosa avventuristica, ma lo è in realtà molto meno di quel che appaia. Significa che quanto meno questa preoccupazione forte aleggia ed è condivisa.

Altrimenti non si spiegherebbero l’attacco di Medvedev alla Meloni e l’uscita così consapevolmente pesante della von der Leyen. Quello che piuttosto continua a mancare, come sempre nei momenti cruciali, è che l’Europa riesca a parlare con una voce sola e ad agire come un’unica falange. Paga l’assenza di una leadership politica forte, riconosciuta da tutti, che sappia indirizzare e coinvolgere. Questa leadership politica in Europa va ostinatamente cercata o, se necessario, costruita. In Italia, poi, tutto ci possiamo permettere tranne che consegnare il dibattito politico interno alle sparate populiste grilline e leghiste


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