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CUTRO (CROTONE) – Dopo un lungo braccio di ferro con la Dda di Catanzaro, l’avvocato Domenico Grande Aracri, fratello del boss ergastolano Nicolino Grande Aracri, dovrà essere processato per ‘ndrangheta con l’accusa di associazione mafiosa. Il prossimo 2 maggio, infatti, il professionista ritenuto la mente affaristica del clan dovrà comparire dinanzi al Tribunale penale di Crotone. La decisione è del gup distrettuale di Catanzaro e fa seguito a quella della Corte di Cassazione che aveva annullato con rinvio il rigetto della richiesta di revoca del proscioglimento. Domenico Grande Aracri era stato, infatti, prosciolto all’udienza preliminare scaturita dall’inchiesta che portò all’operazione Kyterion, scattata in due fasi nel gennaio 2015 e nel gennaio 2016. Stavolta il gup ha accolto la richiesta del pm antimafia Domenico Guarascio.

Secondo l’impianto accusatorio, l’avvocato sarebbe il curatore degli affari apparentemente legali della super associazione mafiosa, con particolare riferimento agli investimenti immobiliari della consorteria, anche al Nord, e al controllo dei villaggi turistici. Nel capo d’imputazione si menziona, tra l’altro, la società Camelia, da lui costituita e impiegata per acquistare all’asta terreni confinanti con il villaggio turistico Porto Kaleo al fine di portare a termine una strategia ordita dal boss, ma si fa riferimento anche al progetto per esercitare il controllo del clan sul villaggio Costa del Turchese della vicina Botricello e il resort Baia degli dei a Isola Capo Rizzuto. L’avvocato Grande Aracri, in particolare, avrebbe svolto un ruolo nel «reimpiego e riciclaggio dei proventi della cosca di ‘ndrangheta»: almeno questa è la tesi della Dda che ha esaminato le missive rinvenute nel suo studio legale, sottoposto a perquisizione durante il blitz del 28 giugno 2015.

È il procedimento nell’ambito del quale la Dda aveva depositato la relazione sull’inattendibilità della collaborazione con la giustizia da parte di Nicolino Grande Aracri che, una volta smascherato, con una lettera avvisava i familiari informandoli che «la farsa è finita». Nello stesso procedimento erano state depositate le dichiarazioni del mammasantissima il cui pentimento, a quanto pare “farsa”, aveva fatto tremare i palazzi del potere perché il boss era il vertice indiscusso di una nuova “provincia” di ‘ndrangheta che comandava su mezza Calabria, parte dell’Emilia e della Lombardia e si era infiltrata nella politica, nell’economia, nelle istituzioni. Le sue prime “cantate” sono apparse inattendibili, però, proprio perché, secondo la Dda, il boss tendeva a “salvare” i familiari coinvolti in inchieste sul sodalizio di ‘ndrangheta da lui capeggiato. Compreso il fratello.

Domenico Grande Aracri

Il ricorso del pm Guarascio era stato già ritenuto fondato dai supremi giudici perché il gip non ha spiegato in concreto in che consiste la non diversità di notitiae criminis e perché le dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia non possono ritenersi estranee a un procedimento già definito. L’avvocato Gregorio Viscomi, difensore di Domenico Grande Aracri, aveva prodotto ben 16 documenti chiedendo l’inammisibilità del ricorso e facendo riferimento all’identità e collegamento dei procedimenti.

La decisione del gup distrettuale si muove, dunque, nel solco tracciato dalla Cassazione. Il professionista è stato già assolto da accuse di armi per le quali era stato arrestato (e successivamente scarcerato) nell’operazione Aemilia, che scattò parallelamente all’operazione Kyterion, e la Dda di Bologna non impugnò la decisione. Ma è stato condannato a 2 anni e 8 mesi di reclusione in Appello, nel processo Farma Business, per intestazione fittizia con l’aggravante mafiosa.

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