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il tribunale di Reggio Calabria

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PALERMO – Secondo l’accusa ha ripreso col cellulare due ragazzine di 16 anni mentre dormivano, ne ha spogliata una, l’ha toccata continuando a girare le immagini poi ha messo in Rete il video. Inoltre, nel suo pc gli inquirenti hanno trovato file scabrosi con protagonisti minori.

Alla fine Gaetano Maria Amato, ex giudice della corte d’appello di Reggio Calabria, è stato condannato dal giudice per l’udienza preliminare di Messina alla pena di 7 anni di reclusione per violenza sessuale e produzione e diffusione di materiale pedopornografico.

L’ex magistrato era stato arrestato un anno fa (LEGGI LA NOTIZIA), dopo qualche mese è stato messo ai domiciliari in un centro di cura per persone affette da disturbi sessuali.

Intanto il Csm l’ha sospeso dalle funzioni e dallo stipendio, così come a suo tempo richiesto dall’allora ministro Andrea Orlando (LEGGI LA NOTIZIA), e ha aperto un procedimento disciplinare che potrebbe chiudersi con la radiazione.

L’inchiesta che ha portato al processo, celebrato in abbreviato, è stata coordinata dal procuratore di Messina Maurizio De Lucia e dell’aggiunto Giovannella Scaminaci. Il reato contestato al magistrato è il 600-Ter del codice penale che punisce chi sfrutta minorenni per realizzare esibizioni pornografiche o produrre materiale pornografico. Il reato fu commesso a Messina, città d’origine di Amato. 

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Al momento dell’arresto il giudice era in servizio alla sezione penale della Corte d’appello di Reggio Calabria. In precedenza era stato alla sezione civile. Trascorsi i dieci anni, era passato al penale dove ha fatto parte anche di collegi di Corte d’assise e della sezione misure di prevenzione. Nel 2009, quando lavorava come giudice a Messina, Gaetano Amato subì un procedimento del Csm per un ritardo nel deposito di alcune sentenze.

Nella contestazione si rilevava come ci fossero troppi provvedimenti del magistrato presentati oltre i termini. A Palazzo dei Marescialli lo avevano dichiarato colpevole e sanzionato con un’ammonizione.

Nel giugno del 2016 a Reggio Calabria, fu tra i promotori di una iniziativa della Corte d’appello a difesa di una collega finita al centro delle polemiche per non avere osservato i tempi per la redazione delle motivazioni della sentenza del processo ‘Cosa mia’ sulle cosche di ‘ndrangheta di Rosarno, circostanza che avrebbe portato alla scarcerazione di tre presunti affiliati alle ‘ndrine.

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